Il prototipo si chiama Titano, una dedica allo Stato di San Marino (e al suo celebre monte) in cui è stata effettuata l’immatricolazione del mezzo. Le prime foto mostrano una creatura nuova, dallo sguardo misterioso, che richiama con chiarezza il volto di una RS4. E’ proprio in casa Audi, infatti, che nasce il nuovo mezzo della Cinotto family; negli ultimi anni le piccole soddisfazioni –ma anche tante delusioni- venivano dalla Toyota, con alcuni Land Cruiser allestiti per la classe T2.

Il salto di qualità non poteva che realizzarsi in un ritorno alle origini: Michele Cinotto fa un salto indietro agli anni 80’, quando si distingueva nell’Europeo con Emilio Radaelli, diventato poi dirigente Audi Sport Italia e “mente” del progetto -originale- di una vettura dei quattro anelli alla Dakar.

Di acqua ne è passata sotto i ponti. Terminata una brillante –ma in verità mai scoppiata- carriera nell’Europeo, abbandonato con qualche rimpianto il rallismo, nel 2010 al Montecarlo si addentrò in una gara e in un mondo ormai lontano. Quel quindicesimo posto -primo fra gli italiani- ha ricordato quanto è cambiato il nostro automobilismo in trent’anni.

Il nuovo progetto è un piccolo sogno, come tanti alla Dakar, che gode però della vitalità di chi non china mai il capo. E’ un piccolo capolavoro, in gran parte frutto di risorse e coraggio nostrano. E’ una piccola nazionale quella guidata da Cinotto, che potrà vantare anche l’appoggio in T4 dell’ormai irriducibile Giulio Verzeletti. Tante energie ha speso l’Orobica Raid per mantenere uno spiraglio di luce, una finestra al domani.

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Il 3.0 V6 TDI biturbo è di ovvia derivazione VW, ma non ci è dato sapere né la massa della vettura (noi stimiamo circa 1,7 tonnellate), né le modifiche apportate al motore e tantomeno le dimensioni del telaio. La vettura presenta fra le altre cose un’inedita altezza, che risulta essere molto ridotta. D’altro canto, l’allestimento, completato solo ieri, è stata una vera e propria corsa contro il tempo per presentarsi a Buenos Aires. La coppia Cinotto-Zini è un balzo di trent’anni indietro, come il ritorno di Massimo del Prete, storico copilota di Regazzoni negli anni 80’. Quasi a testimoniare un filo diretto, mai spezzatosi, con il passato. Ma anche una lodevole voglia di lasciare un’eredità imperniata sulla caparbietà.

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