E’ proprio il caso di dirlo: sono giusto sei i personaggi in cerca di…rivale. O forse è il contrario: è Coma, vincitore di quattro Dakar durante gli anni migliori di Despres -storico avversario- a cercare il suo nuovo nemico, quello per antonomasia?
Il mondo del motocross, alla Dakar, è così. Tutti si contendono i primi posti di tappa, fino ad una prima metà di gara sembra non esserci ancora un leader. Si ondeggia, in attesa che qualcosa accada. Poi, puntualmente, le prove più dure scremano la classifica, selezionando i più esperti molto spesso per errori di navigazione. Ma a volte anche per cadute.

L’anno scorso –merito anche della diffusa presenza di sabbia- ci fu una selezione drastica dopo poche tappe, fra disidratazioni, ipertermie e logoramento fisico. Al punto da costringere la direzione gara, fin da subito, a posticipare alcune partenze di tappa. Fra i “big”, naturalmente, questi problemi sono molto più sporadici. Già dalla quinta tappa, il blocco di pretendenti al successo finì per autoeliminarsi. Oggi quei piloti si ripresentano dal noto “foglio bianco” per lanciare di nuovo il guanto di sfida a Marc Coma, il grande, grandissimo favorito.

Primo fra tutti, c’è Joan Barreda Bort, su Honda, che in più Dakar ha continuamente mostrato di essere veloce, troppo veloce. Di fatto è il vincitore di più tappe negli ultimi anni ma è anche quello che sbaglia di più. E vuole fare troppo di fretta: ne è testimonianza il podio sfumato in più occasioni.
Lo spagnolo -si è capito- cerca subito il successo, è fulmineo nell’attaccare le prime posizioni. Ma la Dakar non si vince così, benché i piloti lo sappiano meglio di tutti. Forzare il passo fin da subito è un’inutile esercizio di autolesionismo. E per capirlo non serve essere piloti. Essendo le moto la prima categoria ad attraversare il percorso, il rischio di perdere il checkpoint è altissimo, in assenza di una traccia precisa. Non di rado, poi, quelle sporadiche tracce (per chi parte fra i primi venti o trenta) sono spesso ingannevoli. Il roadbook negli ultimi ha avuto un valore altissimo. Quest’anno i percorsi sono meno aspri, più puliti, più intuitivi. Se nell’ultimo decennio hanno vinto due grandi regolaristi –Coma e Despres- è perché sono dentro la natura del rally. Poi potremmo dire che alla fine la Dakar sulle moto si fa tutta d’un fiato. Vero. Ma gli errori di navigazione non sono aleatori, casuali. Quella coppia ha sbagliato –non per caso- solo nelle ultime giornate. Leggere il roadbook significa anche interpretarlo. E Barreda Bort, nel 2014, è semplicemente andato in fuorigiri, con un termine rubato al ciclismo.

In questa (disperata) ricerca di avversari, per quanto lo spagnolo sia in testa fra i sei grandi sfidanti di Coma, ci sono altri nomi interessanti, a partire dal binomio Yamaha Botturi-Pain, che è forse il meno quotato, ma anche il più intrigante, quello che suscita più curiosità. L’italiano, da un lato, fu premiato nel 2012 miglior rookie dell’anno, non per fortuita coincidenza. Quell’ottavo posto, ottenuto su KTM in un team privato (anche se di spessore), in una condizione fisica non eccellente, espresse subito il livello dell’italiano. Di Pain si sa tutto: da diversi anni al top, il podio nell’ultima Dakar ne ha rinforzato le quotazioni. Benché mordente, gli è sempre mancato qualcosa.

Di diritto entra invece quello per lungo tempo è stato definito “portatore d’acqua” di Coma, ma che in realtà comincia di nascosto ad avere quell’ambizione di successo, ringalluzzito dal secondo posto del 2014. E’ innegabile tuttavia che fino a quando il team leader Coma sarà in gara, questa possibilità non sarà avverabile. E saranno altri nomi –noi proponiamo Duclos e Rodrigues- allora ad avere qualche possibilità di successo. Sono tanti i piloti brillanti, anche giovani -Sunderland su tutti- ma molto, troppo legati al destino del “capitano di squadra”. Da Goncalves, passando per lo stesso britannico fino a Israel Esquerre. Tutti autori di prestazioni di pregio negli ultimi anni, da podio; la vittoria, però, non è per i portatori d’acqua.

Quei sei diventano subito molti di meno, tre o quattro per gli ottimisti; una sfida a due per chi è smaliziato e non crede in improbabili colpi di coda e capovolgimenti che esistono solo sulla carta. Gli squadroni sono anche, soprattutto questo. E per fortuna Yamaha lancerà Pain e Botturi senza gerarchie o preferenze di fondo. L’italiano ha seguito lo sviluppo della moto con la squadra francese, partecipando anche ai test in Marocco. Con la vittoria del Sardegna Rally Race –su Husqvarna- l’italiano ha spiazzato le previsioni e anche il gotha del Cross Country, Coma.

Facile fare del “cassandrinismo”, scommettendo sull’incapacità nostrana di ricostruire un retaggio rallistico –e non parliamo solo di rally raid- che pure è una realtà del sostrato italiano. Qualcosa comincia a muoversi. Con lentezza, magari tardi. Intanto è una prima risposta a chi sostiene che a mancare sia il capitale umano: a dimostrare il contrario, ci sono i ben dieci italiani al via fra le moto…

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