Ormai bisogna dirlo. La Hyundai non convince più. Non è per il poco coraggio, anzi lodevole, di entrare in un momento di dominio tecnico, qual è quello VW. Ribadito alla luce del sole in Spagna, su entrambi i fondi, sterrato e asfalto. La vittoria in Germania è un ricordo ormai lontano, sfocato. Da allora, per un motivo o per l’altro è mancata la sostanza. E’ rimasta la cosmesi e il vistoso, se non eccessivo, parco assistenza.
Non sarebbe giusto, tuttavia, fare i sofisti. Dietro un’annata di alti e bassi, c’è una squadra capace e talentuosa, che ha voglia di fare. E anche una vettura acerba, ma non per questo modesta: la squadra di Nandan ha rimesso in ordine l’affidabilità, dopo aver compattato tutto il sistema di raffreddamento, pur complicando la gestione delle temperature dei liquidi. Si è detto di aspettare il 2015: poi, però, ci si accorge che manca qualcosa. Che dovrebbe già esserci.
Il tridente candidato a formare la (probabile) formazione del prossimo anno non può sfaldarsi così, in un paio di prove. La grandezza del progetto, in tutti i sensi, nasconde una debolezza di fondo.

Non c’è bisogno di un leader fra l’egocentrico e l’ipertrofico. Ma di un condottiero sì. Volkswagen ha spazzato via un decennio di leaderismo che sembrava ormai il naturale corso di un WRC fatto più di (grandi) piloti che di squadre. Qualcuno, però, deve prendere le redini. E quest’anno, se non lo ha fatto Ogier, lo ha fatto Latvala. Alla Hyundai, appena quattro mesi dopo la (disastrosa) esperienza sarda ci sono ricascati, in un vero e proprio deja-vu.
E’ davvero la casa coreana quella nave senza nocchiere che Dante narrava?
Le risorse sono perlopiù interessanti. E perché no, anche giovani, determinate. A lungo corteggiato da Hyundai, Neuville era il meglio che si potesse ottenere. Se ad arrivare terzo è un Hirvonen sulla soglia del mondiale, si capisce tutto. A partire dall’unico folle motivo che avrebbe spinto Ogier a un cambio di casacca. Una crisi di nervi, sfiorata in Alsazia e ancora a rischio esplosione in Spagna. La gara è filata nel verso giusto. Alla fine, il tagliente neocampione, è stato sferzante all’arrivo.
Quella frase secca, “il primo titolo non aveva nulla a che fare con la fortuna”, è lì a raccontare un confronto muscolare. A volte pungente, ma sempre appassionante. Quasi a voler marcare le distanze con il proprio team mate. Non è clima sereno, la tensione è palpabile da chiunque.

Neuville, si è capito, è un manico di indubbio valore. E nulla poteva contro il duetto di testa, nonostante tutto, nonostante l’asfalto. L’unica carta che quest’anno poteva giocare la Hyundai era la terra. Ci ha puntato e ci ha creduto, ma ha giocato male le sue possibilità.
Qualcosa si inceppa, insomma. Foga eccessiva dei piloti o scarso handling della vettura, difficile dirlo. Non esistono “formule magiche”: alla Volkswagen non basta una vettura ben bilanciata, così come non le basta una coppia piloti formidabile. Paddon non è uno di quelli che alza facilmente bandiera bianca. E si è visto fin troppo bene venerdì in un fuori giri: il neozelandese dovrà ricominciare con calma. E’ un oggetto misterioso, ma interessante. E Sordo?
Lo spagnolo si vede, è l’interprete più saggiamente cauto. Della sua prestazione, però, se ne sono accorti in pochi. Non ha cercato la forzatura venerdì, preferendo all’irruenza dei compagni una tiepida condotta. In casa sua non è piaciuto: lo spirito non era neppure lo stesso di qualche anno fa. L’immagine di Sordo e del combattente solitario, alla Mini, era di grande effetto. Sull’asfalto è stato, dopo l’Alsazia, poco mordente. Forse è la motivazione, la voglia o l’enigmatica i20.

Sulla carta la formazione appare quantomeno brillante, valida. Sul campo, guai tecnici a parte, quella verve è venuta fuori: a mancare non sono state mai le forze. Semmai i risultati, la costanza, l’organicità. La compattezza si fa a testa bassa: si finisce altrimenti per non avere un vero antagonista nella corsa della VW. E magari finiremo per dire che una montagna ha partorito un topolino: una doppietta, qualche podio, ma nulla di realmente attraente. La Hyundai scelse, più di un anno fa, di sviluppare la i20 con diversi collaudatori. Portando addirittura sei piloti nel WRC. Non siamo qui per raccontare la solita –noiosa- cantilena sullo sviluppo, anche perché quel lavoro lo aveva svolto egregiamente Neuville alla Ford. E vantava alle spalle un anno in Citroen. C’è da dire che, solipsismi a parte, un sano leaderismo serve, un collante che sappia raccogliere quelli che diventerebbero altrimenti dei prezzolati. L’immagine dei collaudatori, insomma, non è delle più felici: non servono o quantomeno non bastano dei “tecnici”. Per un team è irrinunciabile un impegno diretto e attivo dei piloti. Qui, forse, è mancata la coesione. Finendo per affiancare piloti permanenti e piloti pro tempore, con una logica non proprio ferrea. Oltre che sfuggente. Accanto a risorse di indubbio valore, anche se non sempre convincenti (vedi Sordo), sono state inserite figure di utilità temporanea.

Si è cercato di non fare ombra sul binomio di testa, si potrebbe congetturare. Dietro una formazione così ampia, c’è del disordine. Non si sa veramente che cosa stia cercando la casa coreana, al di là di dichiarazioni di facciata. Nonostante l’energia di Neuville, che è apprezzabile, il team ha bisogno di un valore aggiunto. Il belga non può far da solo e non ha la forza –che davvero in pochi, pochissimi hanno- di raccogliere attorno a sé la squadra. C’erano buoni propositi circa Ogier, ma ha prevalso il buon senso in un ambiente teso qual è stato quello della VW negli ultimi mesi. Allo specchio, la Hyundai sia capace di fare sintesi.

Non abbiamo gradito la prestazione spagnola della Hyundai, perché ha fotografato lo sfaldamento in diretta di tutti i suoi piloti. E non per la prima volta. Riproponiamo, come di consueto, un’analisi grafica della gara, riproponendo le stesse variabili; sull’asse orizzontale sono indicate le prove (diciassette), mentre la variabile posto sull’asse verticale è s/km. Abbiamo deciso, al fine di ottenere dati precisi e attendibili, di approssimare il tempo perso per la sostituzione degli pneumatici forati in prova (Neuville e Paddon) e di applicare diversi riferimenti. Nella Leg 1. i tempi di riferimento sono quelli di Ogier, poiché i problemi di setup registrati da Latvala non consentono un’analisi corretta e puntuale. Nelle due restanti tappe, il tempo di riferimento è quello della VW migliore. Nel grafico 1, dunque, si ha una semplice sintesi di quanto avvenuto, mentre nel secondo si è scelta una regressione lineare semplice in un grafico a dispersione con tutti i “data points”: è intuitivo osservare che, nonostante la prova di Sordo sia risultata indubbiamente poco significativa, è l’unica a vantare una regressione decrescente, mentre la forbice dei data points aumenta con Neuville e diventa molto irregolare con Paddon. Sintomo evidente di tre approcci differenti alla gara, tenendo conto anche delle correzioni apportate nelle stime.

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