Premesse:
Tanti artisti vengono ricordati per i frequenti collegamenti fra genio e follia: è un accostamento spesso ricorrente, parlando, per l’appunto di talenti artistici. Dato per scontato che per gli appassionati il pilota, di pista o prova speciale che sia, conserva, in principio, delle doti straordinarie. Insomma, “artisti dei tornanti”. C’è una frase che è tanto celebre quanto efficace: “Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”. Premettiamo, comunque, che i proverbi ai più noti, hanno spesso solo un esile collegamento con quanto verrà affermato. L’idea, naturalmente, è quella di offrire tre ritratti, la cui realizzazione è tutt’altro che banale e classica. Un’analisi, in altre parole, a partire da un breve concetto, anche nel tentativo di rivisitare alcuni aspetti talvolta trascurati, erroneamente. Senza tuttavia perdersi in argomenti che non ci riguardano, tema dell’articolo sono i profili, le personalità distintive di tre grandi campioni, protagonisti di tre serie differenti: Loeb, Mikkelsen, Andreucci. Una combinazione vincente, perché attraverso differenti mezzi, perché la dose di talento è sempre presente nel “buon pilota”, ma le abilità di chi sa gestire in modo lungimirante una gara, con un pizzico di sregolatezza, appartengono solo all’eccellenza.

Sébastien Loeb: dominatore…incondizionato.
Come si anticipava nella premessa, Loeb, in nove anni ha costruito, in particolar modo nei numeri, qualcosa di eccezionale, unico. Un concetto abbastanza chiaro ed evidente per tutti gli appassionati, che non verrà quindi troppo approfondito. Spesso, invece, si afferma che la “stoffa” del campione si evince dalla passione, dalla qualità, dalla spettacolarità offerta dal pilota. Questo è un paragone che sussiste con molti limiti: 1- Con buona frequenza, i paragoni istituiti fra piloti appartengono ad epoche differenti; 2- Conseguenza del punto uno, vetture e livello di competitività differente.
Oggi, nella memoria, rimangono più impressi nomi quali Colin McRae, Henri Toivonen, eroi che hanno sempre incarnato lo spirito “avventuriero”, permettetemi il termine generico. Loeb, a sua volta è stato accreditato di avere una concorrenza piuttosto scarna e debole. Affermazione condivisibile, ma non pienamente. Perché se è vero che la sua “epoca” coincide con il crollo delle partecipazioni dei costruttori ufficiali, è anche indubbio che ha lottato contro piloti di spicco, Solberg, fra parentesi, spesso sminuito, ma anche Sainz e Gronholm. La grandezza dell’opera compiuta dall’”Eneacampeao” è tale da risultare, paradossalmente, piccola nei suoi confini, forse anche a causa della facilità con cui sono stati ottenuti. Penso, invece, con un’opinione personalissima, che i posteri ne apprezzeranno completamente il valore. Sono, molto semplicemente, due campioni diversi. Per intenderci, con una proporzione, Loeb sta a Schumacher come McRae potrebbe stare a Senna. Non è un confronto attendibile, ma così efficace da delineare in modo netto le due tipologie di piloti. Ma se questi sono discorsi abbastanza frequenti, è stata spesso trascurata l’aggressività con cui il francese ha affrontato le stagioni più difficili, fra cui, a mia opinione, spicca il 2011, conquistato di misura su Hirvonen. Per alcuni è stato il punto più basso toccato dal francese, forse per altri ne rappresenta il culmine. Perché è nelle insidie che si distingue l’eccellenza, in primis l’ostacolo Ogier, spina nel fianco del pluricampione. Ed è in tal caso, al debutto della DS3, che è riemersa la vena del pilota più “impulsivo”, d’attacco e non calcolatore, come è accaduto nella maggior parte dei suoi titoli. I ritiri, gli errori, le tribolazioni, sono state compensate da gare audaci, di passione, ma perle di automobilismo. Cinque vittorie, ma Italia e Argentina sono stati i due appuntamenti chiave, che mostrano anche che dietro alla splendida tecnica di guida, dietro alla visione di gara tattico/strategica endemica nel suo genere, c’è anche quell’istinto del pilota, il quale utilizza tutti i suoi strumenti a disposizione per vincere. Sono queste le lezioni di guida che incidono sulla roccia il nome del francese: la perfetta combinazione tattico-strategica, che in pochi possiedono, fusa al talento di chi guida in offensiva, sullo sfondo dell’accortezza. Così è stato consacrato un nove volte campione del mondo. In molti si sono divertiti a definirlo “cannibale” per una serie di conquiste che sono diventate, negli ultimi anni, questione di numeri. Invece, se vogliamo guardare la questione da una prospettiva diversa, tutt’altro che convenzionale, la chiave di lettura di Loeb è proprio quella indicata sopra, vincere anche fra travagli e peripezie.

Andreas Mikkelsen: stella nascente?
Più curioso il caso di Mikkelsen, che per quanto si possa definire il re dell’IRC, sicuramente fra i migliori interpreti delle S2000, ed è pertanto una stella nascente, in virtù dei suoi risultati, eppure manca quella metà sufficiente per “completarsi”, per entrare, già in giovane età, in quella hall of fame riservata a pochi; in altre parole, Mikkelsen è un potenziale oggetto per investimenti futuri, fra cui quello compiuto da Volkswagen, che ha voluto subito mettere “in cassaforte” il proprio pupillo. Ho sempre preferito considerare il vero exploit del norvegese, nell’IRC e non all’esordio, quando ha subito la pressione di un incarico ancora troppo grande, non corrispondente al giusto percorso di maturazione. Ha intrapreso la via delle S2000, confermando l’eccezionale e straordinaria dose di genialità nel settore del rally, la quale è protagonista in questo articolo. E’ mancata, fino al 2011, tuttavia, la freddezza, appunto il volto del driver “a tutto tondo”, capace di sostenere un rally dalla portata considerevole, un talento noto con l’etichetta di “incompiuto”. Fortunatamente, come noto, è avvenuto il ripescaggio da parte di Skoda e da allora le stagioni 2010/2011 fungono da spartiacque, da passo di svolta per una carriera rimasta inesplosa. In un solo anno è cresciuto sotto diversi punti di vista, successivamente ha mostrato progressi molto incisivi, ma ancora inopportuni a vincere il titolo, passando infine per la consacrazione di fine anno. E’ quasi una sorta di capitolo a sé stante di una storia, che la racchiude in un riassunto di un solo anno di gare. Perché è il riflesso, lo specchio, di un’evoluzione senza precedenti, difatti, testimonianza di quell’avventatezza di chi non ha più nulla da perdere, ma che è paradossalmente consapevole dei progressi compiuti in breve termine. Se abbiamo citato le due perle di Loeb del 2011, non possiamo non ripetere lo stesso procedimento per Mikkelsen: Scozia e Cipro hanno impressionato tutti, hanno dimostrato che il classico atto sportivo del “ribaltone” è possibile, mentre il campione IRC in carica, ha troppo stupito per non essere inserito in qualche programma WRC, considerando che il Palmares è stato impreziosito dal Trofeo Rally Terra, dove ha comunque lottato con interessanti avversari e sporadicamente nel WRC. Il 2012 è l’incoronazione conclusiva, il meritato balzo in avanti che lo porterà nel 2013 in Volkswagen. Nel tempo, la guida senza limiti di Mikkelsen, sta trovando i suoi confini ed il suo apice, l’agglomerato perfetto del pilota il quale, ancor prima della propria vettura, deve riuscire a gestire se stesso. La terra, la vera natura del rally, combacia esattamente con il norvegese, mentre l’asfalto è ancora il suo Tallone d’Achille. In altre parole, ha solo bisogno di tempo.

Andreucci: Loeb “formato nazionale”
Paolo Andreucci, come suggerito dal sottotitolo, è stato spesso definito dai giornalisti come una sorta di Loeb nazionale, assolutamente capace di vincere tutto nella sua serie in casa. Se il 2011 è stato il passo di svolta per i primi due, quell’anno per Andreucci è stato il più vincente, ma altrettanto il meno stimolante, in virtù di un parco piloti piuttosto limitato e ristretto. Dobbiamo tornare al 2010, quando neppure una concorrenza efficace, competitiva come la rivale ufficiale Abarth, dotata peraltro di due eccellenti piloti e le numerose disavventure superate non sono riuscite ad impedire di inanellare l’ennesimo titolo italiano al toscano. Tornando indietro ad appena due stagioni fa, si racconta un periodo di sana competizione nel CIR, quando un novero di piloti era sufficiente ricco per aprire la possibilità a gare “lotteria” e di conseguenza a scenari decisamente più ampi, a differenza di un 2012, ad esempio, nel cui campionato, il distacco fra ufficiali è privati è tale da renderlo chiuso, anche in ciascuna gara, al podio. Non dimentichiamo, infatti, che con l’eccezione di Sanremo, Scandola e Andreucci sono giunti sempre a podio. Invece, si ricorda di quell’anno i disastri dell’Adriatico, il Costa Smeralda, una serie di coincidenze poco fortunate che hanno seriamente messo in discussione il suo titolo. Vincere e perdere, oggi Andreucci è sinonimi di affidabilità per qualunque team che si affidi al sette volte campione nazionale, ormai il suo nome è diretta conseguenza di puro spirito agonistico, in certo qual modo “padre” di una piccola scuola interna alla Peugeot. Non si dimentichi il suo apporto richiesto dalla WRC Academy del 2012. Eppure la difensiva non incarna né lo spirito di Andreucci, né quello del rallysta grintoso, tenace alla guida, a cavallo di due ere dell’automobilismo significative. Egli sarà probabilmente colui il quale darà il via ad una rivisitazione delle classi. Vale a dire, Andreucci è l’uomo squadra, quel cocchiere che deve tenere a bada i cavalli, che pur si concedono qualche sgambetto, citando parzialmente Manzoni. Attualmente, è un simbolo nazionale, forse è troppo legato alla tradizione locale per pensare di essere proprio all’ambito internazionale. Cerrato, evidentemente, ha passato la staffetta al suo collega, senza pensare di avere di fronte, almeno numericamente, un “atleta”, per proseguire nella metafora, ancora più efficace.

Il commento: genio e follia, denominatore comune dei “campionissimi”?
Senza dubbio, se andiamo a “spulciare” nel passato, nei ricordi personali automobilistici, si distunguono tre classi di piloti, i “campionissimi”, vincenti sotto tutti i profili, si veda, ad esempio, Loeb per il rally o un nome ancor più noto, Michael Schumacher. La giusta persona si fonde con la giusta squadre e nelle giuste circostanze. Nei limiti umani, spesso la soglia della perfezione è stata sfiorata, livelli di competitività assolutamente regolari e contemporaneamente irraggiungibile per i più. Tuttavia, si riconoscono anche quei piloti meno “amati” dal pubblico, quei calcolatori, a dire il vero, poco diffusi nei rally, spesso rivalutati da una scarsa aggressività. In questo caso, si rende opportuna l’estrapolazione di un esempio dalla F1, Alain Prost, quattro volte campione fra le polemiche. E infine, in posizione diametralmente opposta, ci sono quei piloti più aderenti alla concezione più essenziale del rally, quei piloti che spesso, dai più genuini appassionati, vengono ricordati con stima e piacere, ma a questi, si attribuisce spesso anche l’aggettivo di “incompiuti”. Che cosa possiamo dire di Henry Toivonen, così tanto elogiato da Cesare Fiorio, catturato nel suo massimo splendore e perso immediatamente dopo? A rendergli onore non sono i titoli mondiali, bensì il pubblico e coloro i quali hanno saputo raccoglierne le abilità assolutamente indiscusse. I “campionissimi”, contrariamente, sono l’espressione, come si accennava prima, sono la prova di risultati a tratti straordinari, a tratti fuori dal normale, in altre parole, invincibili. Perché Loeb, Andreucci, Schumacher per citare un caso esterno, ma altrettanto stupefacente, sono stati artefici, ideatori, di un’opera più complessa. Hanno costruito una squadra sul proprio modello, hanno sviluppato la squadra in tutte le sue componenti, l’hanno spronato nei momenti critici. E’ un aspetto fin troppo trascurato, ma che è in realtà in nodo determinante di chi, effettivamente, è l’artista non solo in pista o PS, ma anche nella cura di altri elementi fondamentali per il successo. Mikkelsen è ancora lontano da questi obiettivi, ma l’orientamento è quello giusto. Accostarlo ai primi due non è corretto, ma non si possono nutrire dubbi sul fatto che alle basi, ci siano fondamenta solide. Insomma, non esiste dose di “cattiveria” alla guida senza una corrispondente quantità di accortezza; d’altro canto. Nell’accezione citata nelle premesse, è evidente che ci sia una creatività, un ingegno oltre il normale, ed è così che nascono i più grandi talenti, sportivi o artisti che siano…