Apriamo questa pre-analisi del Rally del Messico, fra “bilanci e pronostici”, insomma, fra un capitolo e l’altro, con la “scossa” Volkswagen “a doppia forcella”: la prima, in senso strettamente sportivo, come abbiamo apprezzato fra Montecarlo e Svezia, dove la Polo ha stupito tutti con un’azione fulminea, la seconda invece riguarda i risultati economico/aziendali da record: Volkswagen si appresta a definire l’utile netto con il segno positivo a ventidue miliardi. Il successo di una casa che si rilancia sempre, all’attacco senza mai demordere: in un certo senso, i progressi nel rally sono la metafora di quanto ottenuto in ambito commerciale. Non vogliamo, tuttavia, raccontare con troppi entusiasmi solo la favola Volkswagen diventata realtà, bensì intrecciare e annodare il WRC tra le gare invernali e quella messicana che ci attende, nel tentativo di delineare un “profilo” di questa prima fase.

Fra Svezia e Montecarlo, il WRC si apre sotto il segno della Francia
E’ quanto mai affascinante la suddivisione in scaglie abbastanza composite della classifica nei primi due rally: tuttavia, come suggerito opportunamente in questo articolo (http://www.rally.it/wrc-malcolm-wilson-ogier-dominera-il-wrc-come-ha-fatto-loeb/) è vero che alcuni rally sono quasi dei frammenti di codice genetico, dei veri “geni” che vanno a comporre un’abilità a tratti innata. Chiudendo la metafora biomolecolare, mettendo in evidenza che se al Montecarlo, dove i francesi giocano in casa e gli scandinavi in trasferta, è avvenuto il preannunciato dominio dei primi, anche presso questi ultimi si è ripetuto lo stesso copione, in Svezia, con il duetto Loeb-Ogier impegnato in una lotta di famiglia, in una sfida tutta nazionale: il WRC, da un decennio, veste il tricolore francese. Eppure, come abbiamo raccontato nelle pagelle, le premesse narravano invece il riscatto dei finlandesi e norvegesi, guidati “dall’usato sicuro”, Hirvonen, e dalla spinta rinnovatrice di Ostberg. Tutto è invece iniziato al Montecarlo, con gli europei continentali vincitori di quattordici prove su sedici, un podio tutto di veterani sull’asfalto, Loeb-Ogier-Sordo e il restante gruppo in attesa delle mosse al vertice, troppo lontano. In fondo, sono solo otto le WRC al traguardo, ma i tre gradini sono costantemente stati una questione molto ristretta. E nel privilegio “di pochi”, si evince nella sua pienezza la frase con la quale abbiamo anticipato il paragrafo, cioè quel processo di scrematura che manca al WRC: un piccolo balzo indietro nel passato, quando le gare erano selettive, andando ad allargare la rosa di competitors, di categoria sempre più elevata.. Quattro vetture differenti, due ufficiali, l’ingresso sempre più imminente di Hyundai, le recenti novità RRC ed R5 che da un punto di vista qualitativo offrono nuove sfide anche nella zona punti, andando a ripescare il concetto appena espresso. Senza allontanarci dal punto centrale della nostra disamina, ricordiamo pertanto la centralità, al fine di considerare la questione iridata fino al termine, della costanza. Proprio in merito a ciò, dobbiamo mettere in rilievo che la gara successiva ha rimescolato notevolmente lo scenario di un Montecarlo molto incerto, condito da una serie di ritiri “eccellenti” e da prestazioni poco chiare e un po’ discontinue, a partire da Sordo passando per Hirvonen: risultati positivi, ma non del tutto convincenti. E in effetti, il groviglio, in Svezia, non è stato nemmeno sciolto, perché sebbene sia possibile trarre un “bilancio invernale”, fra qualche convalida, in primis Ogier, Loeb e Ostberg, Hirvonen, Sordo, Neuville e Novikov sono stati autori di flop, non necessariamente “sul cronometro”, che ancora non indicano concrete certezze. Forse, ragionando per simboli, il risultato svedese, può parlare da solo: Volkswagen, con Ogier, forma un binomio che appare già molto solido, mentre Citroen si presenta come principale rivale, seguita da Ford, con una postilla: sono emersi, di fatto, i tre leader di ciascun team, ma quale sarà il futuro della casa francese senza Loeb?
L’assenza dal vertice delle due punte “laterali”, attualmente preoccupa, non preclude naturalmente una stagione disastrosa, ma la rimonta francese deve prima di tutto fondarsi su una ritrovata calma psicologica: la pressione sui campioni in carica è alta, un fatto constatato ancora in modo più esplicito dal crollo di Hirvonen in un rally, in cui, teoricamente, dovrebbe essere protagonista.
Complessivamente, prima di addentrarci nel disegno che proveremo a tracciare del rally del Messico, è opportuna una riflessione abbastanza cauta di questo “inverno caldo”: in primo luogo, la debacle scandinava mette in chiara luce che nel WRC di oggi, per “perfezionisti”, spunta più facilmente, anche in terre storicamente ostili agli europei continentali, la formazione direi “scolastica” più efficace: la Francia, come abbiamo diverse volte descritto, dispone di un sistema, di un meccanismo funzionante, una sorta di “riciclo” costante. Commentando quanto afferma Wilson, troviamo francamente inappropriate le sue parole, perché accanto ad un’indubbia superiorità tecnica di Ogier, in merito alla quale condividiamo il suo pensiero, non possiamo trovarci sulla stessa linea rispetto all’energia espressa nel corso del tempo: in due rally atipici, in cui i valori in campo sono stati parzialmente alterati da determinati fattori, è davvero presto per stabilire delle gerarchie, che pure, come abbiamo già sottolineato, prendono forma. L’invito, insomma, è quello alla prudenza, in quanto, come andremo a vedere, in Messico ci sono un paio di variabili “impazzite” sufficienti per miscelare con violenza la classifica. E non sappiamo ancora quale sia il comportamento di una Polo tutta da scoprire, tutt’altro che grezza, ma aggressiva sulle coperture: abbiamo già individuato tre incognite, un’equazione per determinare il favorito, con una particolare condizione: non sarà ancora decisiva la prossima prova, potrebbe bilanciare i pesi di un ranking i cui punti, sono distribuiti a favore di Ogier, senza tuttavia tracciare un profilo, una chiave di lettura inappellabile.

Tre variabili dell’equazione messicana: affidabilità, forature e degrado degli pneumatici

Le tre incognite, le tre variabili della gara extra-europea, trovano rappresentazione in un’equazione che se risolta, in questo caso, con una dovuta argomentazione, potrebbe offrire delle indicazioni alquanto interessanti. Proveremo, in questo percorso, ad indagare, con rigore scientifico, nell’ossatura del Rally del Messico per comprenderne la composizione e cercare di dedurne un’uguaglianza: partiamo dall’affidabilità, sulla carta il punto a favore di Citroen, la cui tenuta è quasi proverbiale, tre propulsori “in fumo” in dieci anni, dal 2006 sempre vincenti, senza accusare mai l’iniziativa altrui. Certo, specie se si analizzano le gare più recenti, appare abbastanza coerente il predominio della casa francese in un duopolio con Ford; tuttavia è altrettanto corretto aggiungere che fino ad ora, Citroen rappresenta un punto di riferimento, un’assicurazione, anche perché la DS3, a calcoli fatti, si è rivelata la più equilibrata e bilanciata su tutti i fondi, ad eccezione della neve: quasi “il riflesso” delle linee guida di Loeb, la cui eredità è passata in mano a Hirvonen e Sordo.
In questi giorni, si tessono le lodi della Volkswagen, capace di ribaltare le proiezioni sul campionato, infilandosi già come protagonista, ma è approssimativo abbandonarsi a conclusioni affrettate, perché, proprio a proposito di bilanciamento, il Rally del Messico è un appuntamento molto settoriale, una sorta di imbuto, una prova del nove, l’ultima delle prime tre che conclude un trittico “infernale” per i piloti. Usiamo questa espressione particolarmente incisiva per rimarcare non solo l’eterogeneità delle gare, fra asfalto, neve, terra e temperature comprese fra una forbice di quaranta/cinquanta gradi, ma anche per fare emergere dei piccoli fattori che incidono sulla resistenza di un piloti, da elencare per inciso. Inoltre, la variegatura del pre-Portogallo, prova definitiva e cruciale, per certi versi, ha offerto una molteplicità di offerte, tali da essere valutate con accortezza. Abbiamo già accennato qualche informazione circa una new entry, ricordando, attualmente, la scarsità di elementi per la casa tedesca che per il primo anno sbarca con la Polo in veste agonistica. L’anno scorso, a testimonianza della grande lungimiranza del team, scelsero proprio il Messico, nel periodo primaverile, per verificare proprio l’efficacia del proprio motore: si può certamente affermare che le condizioni endemiche del territorio del Guanajuato, a tratti analogo a quello della Dakar in quanto aspro, siano così uniche tali da non essere riprodotte in nessun altra località, anche per la variabile altimetrica, che non abbiamo inserito fra le prime tre, ma sicuramente di un certo rilievo, come esposto in modo eccellente in questo articolo (http://www.rally.it/laltitudine-perche-e-un-problema-per-i-propulsori-delle-moderne-wrc/).
Ford docet, in altro modo, essendo la Fiesta alle prese nel 2011 di gravi carenze, i cui problemi di surriscaldamento, in vetture già martoriate dal percorso estenuante e soffocante, misero in chiara luce la crucialità di questo aspetto. Nel 2012, apportati degli opportuni accorgimenti, in molti si ricorderanno, di un’altra tortura subita dalla casa dell’ovale, quell’altra variabile citata nel titolo, cioè le forature, una normale componente di qualsiasi rally: anzi, a dirsi così, pare una tautologia, ma nella lunga sequenza di prove, scandite da pochi parchi assistenza, rispetto al numero di prove piuttosto considerevole si acutizzano alcuni fenomeni di “intolleranza” di alcuni elementi fondamentali. Fra questi, le coperture, soggette non solo allo stress delle alte temperature e del conseguente degrado, del pattinamento sul fondo e della scarsa precisione di guida -corollario di queste cause- subiscono anche gli effetti della crudezza del terreno, impervio e assai aspro, giustiziere non sempre imparziale, specie nei confronti dei piloti più tenaci e aggressivi, poco “puliti” nelle guida. Ed è qui che si concentra l’ultima parte della chiave di lettura del Rally del Messico: una gestione ponderata delle mescole dure, le quali devono reggere per tratti piuttosto lunghi, un assetto molto efficace, specie per quanto riguarda i parametri di camber, talvolta un po’ troppo estremizzati, nel tentativo di trovare il rendimento massimo dello pneumatico. Proprio per tale ragione, drivers come Latvala, l’anno scorso reduce di una gara in stile “McRae” o Solberg nel tempo hanno subito l’iniziativa di piloti più attenti come Loeb, Ogier e Hirvonen: l’esperienza, in conclusione, sarà un nodo importante e in tal senso, Citroen sembra trovarsi in lieve vantaggio, grazie ad un processo di assimilazione duraturo e ben consolidato. Il feeling, infatti, è piuttosto elevato con piloti perfezionisti, “maniacali”, perdonate il termine, ma ciò non toglie che le numerose insidie hanno già colto altrettanti contendenti al successo finale. E’, in altre parole, la combinazione esatta, una sorta di anagramma, del pilota costante, di colui il quale non ricerca il successo in partenza, ma lo ottiene nel tempo; memorabile, ad ogni modo, la prova di Loeb nel 2011, a testimonianza del fatto che la partita, in Messico, può essere ribaltata in qualsiasi momento.

Quale scenario si prospetta, in assenza del migliore interprete del rally del Messico?

Dopo aver vinto tutte le edizioni dal 2006 al 2013, Loeb si appresta a chiudere questa straordinaria sequenza, difficilmente ripetibile in un rally così denso di sorprese; alla sua figura di “princeps”, principe, abbiamo già accostato in occasione del Rally di Montecarlo il termine “cunctator”, temporeggiatore, chiara espressione di Hirvonen, che ha adottato una strategia fino ad ora piuttosto fallimentare di controllo e gestione, da vero amministratore. Scelta condivisibile in determinate condizioni, ma inadatto in un duello intenso, con Ogier già a trentaquattro punti di vantaggio sul finlandese, ottimo uomo-squadra, ma in difficoltà, in ombra in un team in difficoltà profonda, a causa del ruolo part-time di Loeb, che ha costruito la squadra sulla propria personalità. Decriptare il Rally del Messico è sempre un’impresa ardua e sbilanciarsi è quanto mai privo di significato. Possiamo, piuttosto, individuare quei drivers che incarnano al meglio questo rally, interpretandolo nei suoi ostacoli. Abbiamo, in primo luogo, istituito un confronto fra i protagonisti Citroen ed è giusto partire dall’elemento di continuità: in sostanza, dopo il “pareggio” fra i due Sèbastien in classifica, l’obiettivo di Citroen è quello di confermarsi in Messico, nazione teoricamente favorevole e far avanzare le “punte laterali”, Hirvonen e Sordo, specialisti del fondo, avvantaggiati da una guida “gentile” e poco rude. Il finlandese, deve certamente rischiare, nella consapevolezza di aver un numero limitato di alternative: d’altronde, questa è anche la prima parte della stagione. Ciò non può implicare, smontando quanto appena detto, un approccio ancora di attesa, perché il rivale è quanto mai solido, si è lanciato senza ambizioni di successo, ma è pronto ad agguantarlo fin da subito. In estrema sintesi, Citroen deve ricercare probabilmente quelle doti ormai consolidate di leader, fredda nella gestione strategica, ferrea ed energica sul campo. Le premesse per ribaltare la classifica provvisoria ci sono, perché in Messico, come diverse volte sottolineato, la differenza si denota sulla distanza, con l’esperienza e la competenza. Insomma, quel pizzico di perspicacia con cui Loeb ha vinto nove titoli. Volkswagen, senz’altro, nel WRC mantiene una condotta lucida, pragmatica, dispone di una vettura precisa, in costante aggiornamento: il Messico è la prima data di una scadenza fondamentale, nient’altro che conferma di quanto apprezzato in condizioni anomale, in altre parole una completa emersione delle qualità dell’intero pacchetto, nel suo complesso. Un prodotto sicuramente ben riuscito, ma che conserva qualche problema da risolvere in ambito pneumatici, di assoluto rilievo in Messico. Il comparto piloti è efficiente, ma la simbiosi non è completamente riuscita con Latvala, ad esempio. Si tratta, pertanto, di un momento decisivo, per comprendere quanto Ogier, leader di una squadra per ora tutt’altro che paritaria, sia riuscito a trarre dalla Polo. Sarà una sfida sui nervi probabilmente, in cui, con quasi assoluta convinzione, siamo sicuri dell’imprevedibilità del risultato. Il fascino del rally, di cui Ford, relegata al ruolo di “terzo polo”, proverà a trarre il massimo per mantenere Ostberg in zona podi. In fin dei conti, ad aver la meglio sarà, ancora una volta, colui il quale saprà mettere opportunamente sulla bilancia le proprie abilità, i propri istinti, trovando l’equilibrio perfetto. In questo senso, Ogier ha un po’ più di vigore e ne dovrà fare tesoro. In Messico, queste sono le regole, perché, prima di tutti, il padrone è proprio il territorio.