L’Ogier che vince al Rally Finlandia non è lo stesso pilota da monologo che si è osservato in diverse occasioni: suscita differenti emozioni e sentimenti in ciascun appassionato, ma il minimo comune denominatore corrisponde nella versatilità di quello che si appresta a diventare un campione. “Emanava astuzia e intelligenza come il radio emana energia: con la stessa silenziosa e penetrante continuità, senza sforzo, senza sosta, senza segni di esaurimento, in tutte le direzioni”.

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Senza voler disturbare ancora un grande autore, Primo Levi colse già allora, da chimico, la personalità scaltra, caparbia: il leader lindo e trasparente. Il francese non meriterebbe eccessive lodi, proprio per quanto elementare sia il concetto del pilota-dominatore, consapevole e capace di fare le proprie mosse nel momento più opportuno. E di questo, ad ogni modo, parleremo nelle pagelle a seguire nei prossimi giorni. La catena ordinata di cinque successi, ha quell’elemento di distinzione che è la continuità, dalla neve svedese, passando per gli sterrati a cavallo fra America ed Europa, giungendo fino ai saliscendi finlandesi. Sulla figura, carismatica in gara e trascinatore al parco assistenza, si è discusso forse fin troppo.

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Se Loeb aveva rivoltato un sistema, Ogier ha completato l’opera, distruggendo una lobby del rally, la Scandinavia, a metà fra il senso dinastico e l’oligarchico: nel tempo, i feudi si sono separati, sono finiti nella mani di un’Europa che galoppa, da Carlos Sainz, che scoprì un talento personale ad una vera fortezza francese che ricerca, seleziona e scarta in modo apposito tutti i grandi drivers dotati di eccezionali abilità. Anche di questo, ne abbiamo parlato, il WRC3 è un indicatore efficace, nonché la vera risposta ad una WRC Academy ormai insignificante.

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Se le sentenze dei tribunali sono spesso il trampolino di lancio delle leggi, creando ovvero un precedente storico, ecco che nel 2013 il sistema trova applicazione. Non solo per quanto concerne Ogier, perché con un secondo posto, Neuville, ha aggiunto un mattoncino al record di Sainz del 90′: allo stato attuale, nell’anno in corso per la prima volta al Mille Laghi le prime due posizioni sono occupate da due europei, fra l’altro entrambi talenti frutto di uno studio intenso portato avanti proprio dal gruppo PSA. Una scuola che, anche senza la Citroen, potrebbe funzionare quasi allo stesso ritmo. Si pensi, infatti, alle evoluzioni e trasformazioni subite dal WRC, un tempo popolato dalla Scandinavia, oggi invece macchia di ampie dimensioni della categoria regina del rally e tuttavia tecnicamente poco rilevante.

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Questo criterio, certamente, non è meccanico od automatizzato: la passione che si respira in Finlandia, la spontaneità con cui cresce questo sport, come la quercia che immette nel terreno le sue profonde ed avvolgenti radici, sono un cesto di valori inespugnabile nonché inestirpabile. C’è qualcosa, appunto, di così radicato, che diventa un colore di una bandiera, pur nelle profonde mutazioni di un mondiale rally che cambia, il quale guarda anche all’Oriente. Per non discutere, profanamente, dell’insuperabilità delle prove nel Nord Europa, la quale, fra vegetazione lussureggiante ed endemicità dell’itinerario, resterà la ”caput mundi” del rally.

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Con questo, non è nemmeno salubre sentenziare che nel tempo le antiche regine ritroveranno il trono, smarrito ormai da molto tempo. E’ un cliché che a forza di essere riproposto, si è consumato, si è logorato in via definitiva. Così come quei piloti che si aggrappano o per meglio dire –provano a difendere- le risorse residue. Il mito dell’Hirvonen costante e regolare è decaduto, oggi è un’arma improponibile.
Consunto da duelli muscolari e duri, il vicecampione in carica è precipitato in un’eterna non belligeranza, vittima degli attacchi altrui: in breve, inerme.
Non c’è Latvala, tutt’altro che appeso al filo fra l’essere un incompiuto e un campione; tanti, in eccesso, gli anni persi per campionati condotti in modo discutibile: il fiato, a suon di rincorse folli, si accorcia. Non bastano rimonte coraggiose, spettacolari, dettate dall’istinto, pongono una condizione di evidente svantaggio, un solco che nel tempo si appresta a diventare una voragine.

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L’unico a vantare un prestigio condiviso, è Ostberg, accompagnato da Mikkelsen ancora troppo giovane per inserirsi nelle sfide che contano; il WRC è l’arte della pazienza, del tessitore di tele che si espande con disinvoltura: la metafora del ragno, per intenderci.
Poche speranze, comunque, per piloti i quali non hanno ancora scalato la vetta: nemmeno Hanninen, grande conoscitore dell’ambiente, driver rodato per antonomasia, non può impostarsi come l’alternativa. In quadro così cupo, la stanza dei bottoni è davvero affare di pochi, una questione dalla quale, negli ultimi anni e specialmente in questa stagione, gli scandinavi sono stati quasi del tutto estromessi. Inutile citare leggende, oggi lo sport è pragmatico, a tratti spietato: la continuità è un’eredità, l’arte della leadership è una dote esclusiva.