Se si osservano i rischi corsi dal Rally di Sardegna, a causa delle incombenti e rampanti nazioni quali la Polonia, locomotiva dell’Est Europeo, Brasile e Cina trascinatori dei rispettivi continenti, oggi, dopo tre mesi, si può respirare e tirare un sospiro di sollievo. Dopo il miserabile e meschino atto di una gara che ha un cuore battente, ma lontano, emarginato, forse dimenticato. Metafora di una nuova concezione dello sport, attualmente praticata, che vuole essere “ipotecato”. Una garanzia intollerabile per le eccellenze, solo tredici, attualmente compatte e integranti di un meccanismo perfettamente funzionante. In tal senso, bisognerebbe rimodulare la concezione del WRC, con una chiave fortemente improntata alla coniugazione dell’elemento classico a quello della discontinuità. Accogliendo, in forma meritocratica, ciò che il panorama può offrire e non in una lettura timocratica, la quale andrebbe certamente a penalizzare chi la storia del mondiale l’ha scritta. Oltre i sentimenti, però, c’è l’essenza del concreto, di chi sa mettere sul piatto competenze e innovazione, un gusto nuovo nella galleria del WRC, la quale si presenta già con un assortimento ricco. Non si può, tuttavia, nel nome del rinnovamento, “farcire” la serie regina di ciò che non le appartiene, a partire proprio dal Rally di Polonia andato in scena nell’ultimo fine settimana, rivelatosi impreparato, per usare un eufemismo, a partire dai rudimenti, giungendo fino agli aspetti più fini. E’ noto come il pubblico dell’Est Europeo si sia rivelato fra i più calorosi e accogliente ed infatti, un progetto come il Barum, resta crocevia di tutti gli appuntamenti continentali, ma si pensi anche al buon esito ottenuto dalle new entries, Romania e Ungheria, quest’ultima successivamente abbandonata. Ed è proprio in queste terre leggendarie che si colgono le perle più interessanti, dove trovare il limite, il punto massimo di espressione prestazionale è difficile; possiamo proprio rammentare i suddetti rally, per sottolineare una certa peculiarità, una composizione mista di terra aspra e veloce. Ed è proprio su questo aspetto che perviene la bocciatura, che dunque è soprattutto tecnica. Rimarchiamo l’insufficiente opera di manutenzione, nonostante questa sia una meta turistica affascinante, che andrebbe rivalutata e reinserita in una cornice di maggiore valorizzazione culturale e ambientale. Parliamo della terra dei Laghi Masuri, splendida località, fra l’altro protagonista nella storia del Novecento. A partire da questi elementi bisognerebbe iniziare l’opera di rilancio, perché volendo ridurre lo sport ad una mera attività commerciale, ha dei riscontri immediati in termini di prestigio, ma non solo. Da questa prospettiva, appare evidente un profondo cambiamento, radicale nella forma ma pure nella sostanza. Ragionando per simboli, i solchi provocati dalla pioggia e il fondo sterrato assolutamente trascurato, sono i punti focali. Perché non ci si può affidare alle acrobazie dei piloti o viceversa alla pietà del cielo per poter condurre una gara regolare. Il senso dell’estremo, certamente, è ben incarnato dal rally Polonia, contrassegnato da salti sulla traccia finlandese e da staccate violente, con inserimenti molto rapidi. Agilità è la parola chiave, ma ancor di più l’attitudine ad adattarsi con elasticità alle continue variazioni, modellare la traiettoria conseguentemente. Se la sicurezza però non è garantita, ne consegue che la candidatura al WRC 2014 non è consona ai principi richiesti nella serie; è venuto meno, in primo luogo, il fattore ordine, con una carente distribuzione di commissari. Se il modello Germania/Finlandia è un’utopia, che nasce da un lavoro accurato e da una storia differente, in Polonia è totalmente inesistente la pur minima percezione della tutela del pubblico, davvero fin troppo esposto nel corso dell’evento. La passione, sembrerà un ossimoro, si può esprimere anche con il rigore, con la sobrietà, in quello che deve essere un patto di corresponsabilità appassionato-organizzatore.

CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI

Kajetan Kajetanowicz 9½

E alla fine la volpe ha vinto: l’arguzia, infallibile, di chi le gare le ha nel patrimonio genetico. Il Rajd Polski, è noto, fa una storia a parte, ha una sua fisionomia, distaccata e lontana da una concezione più europea del rally. Gara veloce, con qualche parvenza finlandese, il rapporto con i locali è di straordinaria eccezionalità. Kajetanowicz è profeta in patria, con la virtù di chi detta la legge in casa. Un’ombra costante su Bouffier nel primo stint, supportato da un nuovo cavallo di battaglia, la Fiesta R5. Una gara ponderata, equilibrata, condotta nella consapevolezza che il fango è il principale rivale contro cui correre; tuttavia, c’è, oltre alla Ford, anche un pubblico dal quale riceve una “captatio benevolentiae”, la coronazione più importante per un driver il quale, anche fuori dai confini, è capace di distinguersi lasciando importanti impronte. E non è nemmeno la formula campione per un giorno, perché per il pluri-iridato nazionale la nozione dell’essere vincente è assai affine. E’ giunto forse il momento dei polacchi nel mondiale? LA POLONIA CHE VOLA

Bryan Bouffier 9+

Nel rally ad elevata tensione, mescolatasi all’estrema e sublime sensazione dell’apice del rischio, c’è anche il riscatto di Bouffier, vincitore morale della gara. Nell’indubbia alacrità, si evidenzia anche come il francese sia riuscito a sfruttare l’occasione, un lasso di confusione, ovvero la cerniera fra la prudenza e la ricerca del limite. Quando l’interprete è d’oro, il feeling è questione di istanti; Bouffier, tuttavia, è già popolare mattatore in Polonia, essendo anche ex campione del trofeo nazionale, pertanto emerge nella prova un valore marcatamente simbolico, dopo la rottura di una sospensione in Romania e del motore in Portogallo. A partire dalla necessità di mostrare un prestigio sempre velato e celato, offuscato da un rapporto con lo sterrato che solo dal 2012 si è fatto più disteso. Un esame concluso a pieni voti, perché c’è la rivincita su Kopecky, sulla ostica terra, ma non ancora sulla vettura “traditrice”, che lo ha abbandonato nel Day 2, con la rottura di un ammortizzatore e del freno a mano. Ciò non implica che la promozione sia sempre più alla portata. IN RIVALUTAZIONE

Jan Kopecky 7½

Arte del sopravvivere e della conservazione dello status. Kopecky è l’abile manovratore che ha le correnti a suo favore, perché a differenza di Bouffier, il rischio si presenta come facoltativo. La scelta è univoca, trae spunto dalla stagione 2011, fatta di minuziosa raccolta: il titolo è in tasca -senza troppe fatiche- ma anche in seguito a gesta di non irrilevante risalto. Obiettivamente, la performance è stata gestita con fine calcolo, perché la Polonia è la peggiore terra di conquista per i meno arditi. Ragionamento funzionale e di immediata efficacia, dal momento in cui il ritmo, dopo aver fatto fuoco e fiamme in Repubblica Ceca, non è più necessario. La performance è positiva, Kopecky ha ormai una Fabia S2000 su misura per le proprie esigenze, riesce a metterla a punto in ogni occasione, anche se l’aver rinunciato ad entrare nella sfida per il successo non è un segnale di grande combattività. SCHIVO

Michal Kosciuszko 7½

Discreta prova del polacco impegnato nel WRC, che pure era partito con ambizioni decisamente maggiori, come altri piloti, d’altronde. Aspirazioni “mozzate” da quella che è la natura della prova stessa, tecnica, impegnativa, non solo per il pilota, ma anche per la vettura stessa, logorata e sollecitata da un tracciato “che non perdona”. Nella terra dei Laghi Masuri è indispensabile anche l’elemento intrinseco, connaturato all’appartenenza alla regione: ribadiamo ancora una volta che il concetto chiave è stato proprio il bilanciamento ottimale di rischio e prudenza, davvero difficile da calibrare. Kosciuszko, ad ogni modo, incolpevole di un calo di potenza del motore, soffre tuttora problemi alla schiena già riscontrati in Germania. La qualità della prova, allora, si volge sotto tutt’altra prospettiva: coraggio ed abnegazione nell’affrontare una sfida umana complessa, inserendosi nella “pace” di testa nel Day 2. Con una rimonta riguardevole. MASTINO

Krzysztof Holowczyc 7

Ammettendo, alla fine, che la top five non è entusiasmante, l’indomito pilota della Dakar non rinuncia ad una competizione che non gli appartiene, da cui, nonostante la non irrilevante esperienza, è davvero lontano. Forse, l’acre percorso richiama gli odori dei cross country indoeuropei. Ed è già per questo di spessore una prova sicuramente confrontabile a quella di drivers ben pià blasonati, Solowow o ancor di più lo stesso Breen. Non c’è il fattore pressione, bensì il fulcro della prova va ricercato nell’essenza dello spirito del rally, poiché questo sport sempre ben si coniuga con il divertimento. Non c’è troppo valore agonistico nella gara di Holowczyc, bensì competizione più rusticana. Un artista libero. LIBERA ESPRESSIONE

Michal Solowow 7

Fra i sogni “spezzati”, per un podio con tanti contendenti, c’è anche quello di Solowow, il quale in egual modo si era presentato da protagonista, rispettando d’altra parte il target, essendo specialista dei fondi viscidi. Coglie la chance, gettandosi con dedizione in una mischia decisamente eterogenea, patendo tuttavia problemi di “bumping”, perdendo sostanzialmente precisione e stabilità al retrotreno. Una prestazione da outsider, di chi non ha i mezzi per vincere e tenta di colmare il gap con costanza e fantasia, sebbene sia prevalso uno stato di amarezza, a causa di un’inaspettata foratura nella prova finale, nel ruolo di mesto traghettatore, come i tanti delusi pretendenti rimasti ai piedi del podio. E per Solowow, non c’era comunque spazio –troppo ampia la forbice cronometrica-.

Craig Breen 5½

In crisi profonda, l’apogeo di un crollo iniziato in Polonia, ma che ha appunto appena raggiunto il suo culmine: vogliamo credere che sia un caso isolato, giacché dell’eccezionalità dell’evento ne abbiamo discusso. Non è il Lauda che si rifiuta nel 76’ di accettare delle condizioni di pista precarie, bensì è proprio il pilota ad essere preda, vittima della gara, lamenta un setup pessimo, due forature e problemi con la navigatrice, come un cavallo azzoppato. Cause che conducono a ritenere, appunto, la prova disastrosa una parentesi, la pulsazione di un sinusoide, obiettivamente più fine a se stessa. TINTE PLUMBEE

Robert Kubica 7

Pilota d’altri tempi, fervido e appassionato come pochi. Eppure, i due incidenti, accumulati fra venerdì sera e sabato mattina sono una fotografia alquanto negativa per un candidato al WRC, uno scatto impietoso il quale, come spesso accade, raffigura il prototipo del pilota preferito dagli appassionati ma che seccamente i team managers disprezzano. Una figura, diciamo così, funambolica, perché il rally prima di essere una professione è anche una passione, un “codice deontologico” purtroppo dematerializzato dal budget di ciascuna squadra. E allora si impone così l’immagine dimezzata di Kubica, cavaliere dell’azzardo, in quella che è la lotteria di una prova in cui il valore del mezzo non basta, c’è soprattutto la risorsa umana e il fattore impazzito della fortuna. La sensazione è che sia pronto sulla terra, meno sul piano mentale. INSTABILE

Martin Kangur 6½

L’estone, già abbastanza rodato nella classe due ruote motrici, è l’altro outsider d’eccellenza, fautore di un maggiore fermento nel top della classifica; è un ottimo interprete del fondo e si rivela agile e versatile nel portare in gara la Fiesta R5, confrontandosi con piloti di primo livello, uno stimolo importante per proseguire un percorso di crescita non senza ostacoli, perché il quattordicesimo posto finale non rispecchia certo la dose di talento. La sorpresa è certamente piacevole.

CLASSIFICA MISTA

Jerémi Ancian s.v.

Torna nell’ERC un esponente di spicco del vivaio francese, Ancian, in una performance ingiudicabile e simultaneamente al centro della modalità con cui è stata “vissuta” la vicenda polacca, spettacolo e incognite in un quadro contrastante. Problemi al cambio irrisolti nonché un crollo nei rilievi cronometrici dettati da una pessima intesa con il fango: non è patria per asfaltisti e le riprese sporadiche sono insufficienti. Poco incisivo per una prova di rilievo europeo.

Dominkyas Butvilas 7

Ogni tanto ritornano quei talenti nascosti del Baltico, capaci di issarsi in testa ad una categoria, dal nulla mediatico da cui provengono alla ribalta successiva ed è l’effetto imprevisto a suscitare interesse. Dalla Lituania passando per l’Estonia, si cresce sugli sterrati impervi e selvaggi, sul modello polacco. E considerando la stagione nazionale molto fruttuosa, questa gara all’insegna del successo nel Produzione potrebbe essere il trampolino di lancio ideale…

DENTRO IL RALLY- L’APPROFONDIMENTO

Pilota del Rally di Polonia: Stephane Lefebvre

Dopo che la scuola francese ha di fatto “bruciato” discreti piloti quali Campana e Arzeno, che potevano essere delle munizioni interessanti ma concretamente poco efficienti ed efficaci, forse l’archetipo, il punto di convergenza potrebbe risolversi in Lefevbre, ritirato, ma eccellentemente e autorevolmente in testa al campionato, mattatore su terra ma pure punta, apice su asfalto. Sviluppare e mettere alla prova, perfezionando, un bagaglio di doti a partire da ciò che è l’offerta nazionale giungendo allo scenario internazionale. Rilanciando il perno dell’opera, ovvero il suo valore marcatamente nazionale, in una certo non inedita accoppiata Peugeot con un pilota appunto francese.