Tidemand è ancora ai primi passi, probabilmente deve ancora assimilare e interiorizzare l’ampiezza e la portata del suo titolo per giovani piloti. I cui benefici, economici e sportivi, soni di vastissima utilità. Lo svedese è un pilota che corre, ha fretta di scalare i vertici di una realtà sportiva, che non si concilia completamente con l’immagine che avrebbe il pilota-modello degli appassionati. In una nostra intervista di alcuni mesi or sono, si percepisce l’ottica, per l’appunto, di colui che non ha tempo da consumare, perché la fiamma del divenire è tanto dinamica quanto imprevedibile.

Ad oggi, il WRC è una bilancia i cui pesi sono variati e, contemporaneamente, non garantisce una rotazione equa dei sedili, i posti sono stretti e limitati dal coefficiente budget. Il nostro ritratto non vuole essere banale, bensì frizzante: non è l’analisi sistematica e consueta, non è un affresco e neppure una fotografia. E’ la prospettiva che si sta aprendo al WRC, più grande, che trova in Tidemand il suo più degno rappresentante, dopo gli “anni horribiles” in cui non è stato concesso spazio e respiro per la classe Junior nel WRC.

Tidemand, “homo novus” per il WRC

Ripartiamo dai punti cardine del profilo del pilota, dagli obiettivi, dalle risorse, ma soprattutto da ciò che riusciamo ad individuare oggi. Le incognite, come ormai accade frequentemente, si ampliano in un raggio più vasto. Proprio a partire dagli elementi sopra citati, il driver per antonomasia deve perseguire traguardi eccellenti, l’imperativo deve essere quello di raggiungere, entro determinati intervalli, importanti risultati. C’è, in certo qual modo, nello svedese, una prospettiva del rally stakanovista, è il pilota che si è impegnato più a fondo per ottimizzare il proprio potenziale: la necessità di impegnarsi a tutto campo, di affinare delle abilità ancora grezze, perché questi piloti devono guidare vetture altrettanto rusticane. E proprio per questa proprietà, affrontano le gare con lo stesso spirito, il JWRC si imposta come una scuola e come tale deve seguirne i pilastri. Il vincitore, in questo parallelo particolarmente inusuale, sarà il più assiduo, il più raffinato e indubbiamente il migliore interprete.

Dunque, in primo luogo, ad affiorare è una sfaccettatura fortemente positiva: Tidemand non è più lo scandinavo, le cui doti espressive sono esclusivamente riflesso dell’estro, così come vuole ormai una sorta di leggenda, bensì è particolarmente aperto alla realtà continentale. Abbraccia, da driver aperto a tutti gli influssi, entrambe le scuole, sia quella dell’asfalto, più vicina all’ambito geografico occidentale, sia quella della terra e della neve, propria della terra natale. E’ una scalata, quella del “cursus honorum”, molto più impervia, angusta e certo non districata, per tutti coloro i quali devono far fronte ad una “valigia” più contenuta. Non è un paradosso, è vero, odierno, il pilota pagante è una figura che certamente non emerge nell’ultimo decennio. Più difficile risulterà enucleare che di team in pianta stabile, nel WRC del 2014, ce ne saranno solo due, mentre i restanti sono avvolti da un clima di incertezza.

Per Tidemand, c’è il sogno dell’approdo al nerbo di casa Ford, un team Qatar virtuoso, il quale, fin quando sarà alimentato, potrà ambire a posizioni di rilievo; tuttavia, ciò che lo svedese può immettere, è una piccola rivoluzione di ampio respiro, invertire la tendenza di un campionato che si racchiude sempre più entro i propri ristretti confini. C’è il valore della condivisione, fra l’altro, con un pilota che ha sofferto molto la congiuntura economica, il patrigno Henning Solberg. Sono vicende che fanno la macelleria dello sport, oggi percepito sempre più in scala gerarchica, mentre spuntano storie di successo non del tutto compiuto.

C’è un passo importante da compiere, a dimostrazione che quel ciclo dannoso e radicato si può spezzare, è un filo che allontana gli appassionati, insoddisfatti e testimoni, nonché pieni partecipi di un trend, che offre una percezione sbagliata del rally, sport distinto dal cameratismo, dai principi che determinano un’esclusiva vicinanza spettatore-pilota. Abbandoniamo questa lunga digressione, per ripercorrere, in un flash-back, ciò che ci ha condotto a queste riflessioni.

Tappe di un successo poliedrico

Tidemand è indubbiamente un pilota poliedrico: nasce nell’ambito nazionale, in cui emerge per spiccate qualità e si getta, non senza coraggio, nella mistica esperienza del WRC: ho sempre ritenuto che il 2012 si sia impostato come l’anno prodromico, ha annunciato una filiera di novità tuttora non ancora assorbita. E’ il momento di una svolta storica, in procinto di introdurre, con una revisione generale del quadro sportivo, una concezione del rally originale.

Tidemand ha colto il segno di questo cambiamento, quando stupì, in quell’anno, con una prestazione eccellente in Svezia e confermandosi nell’Academy. Da queste basi, nasce una concezione che è valida per tutti i grandi protagonisti della storia sportiva (e non solo): c’è un principio di causalità e casualità a legare il corso di un vincente, perché spesso il paradigma del talento non trova risposte nel contesto più ampio che deve affrontare. Invece Tidemand fa il suo ingresso in un frangente di grande crisi, ma percepisce il senso dell’occasione, del travolgente boom che ha innescato, il quale non può essere avvertito con indifferenza dai top teams. Ford è il più grande contenitore ed esperimento per giovani piloti, costituisce uno scheletro poco saldo, a volte frammentato, ma le cui capacità di locomozione sono tanto straordinarie, quanto improvvise. Dallo svedese, pupillo di casa, può ritrovare vitalità e avere un seguito l’esempio eccezionale di un altro driver, Neuville, che pure ha seguito un percorso radicalmente differente.

Tidemand, dal suo canto, fu in grado di mettere in luce il proprio repertorio già l’anno passato, con la suddetta prestazione, sommatasi ad una stagione non vincente, ma carica di soddisfazione nell’Academy, densa di piloti di rilievo, ma che non è riuscita a partorire un campionissimo dal 2008. Da allora si sono susseguiti nomi più o meno interessanti, dal pedissequo Prokop all’ancora imperfetto Breen. Eppure c’è una tendenza molto interessante nella casa dell’ovale blu, notoriamente popolare, in quanto allevatrice di talenti in senso assoluto, avendo già ristretto nel proprio cerchio Evans e, appunto, Tidemand. Il privilegio di gestire un campionato monomarca, una fitta ma ordinata trama di sistemi di valorizzazione si è rivelata la strada maestra: il team Qatar ha investito in modo prioritario sul capitale umano, risorsa la quale, d’altronde, è imprescindibile per una ricetta vincente. La sequenza, ripetuta, di successi multilaterali, dalla classica gara portoghese, passando per le sfide impegnative della Finlandia e della Germania, si giunge allo splendido successo in Alsazia.

E’ l’emblema di un pilota che sfida, con vero coraggio e alacrità, piloti di elevato rango ed esperienza, giungendo a surclassarli. Non è un pilota con contrasti nella personalità: riassume e sintetizza il senso della linearità, del principio per il quale uno sportivo si determina, a partire dall’armonia degli intenti e dalla coerenza. Con nordico rigore, lo svedese, ha impostato una “road map” inviolabile, compiendo progressi smisurati sull’asfalto. E’ solo una porzione della curva del potenziale di Tidemand, ma ne è certamente un riflesso.

Un’iniezione di brio per la cellula del WRC

Giungiamo pertanto a delle conclusioni apparentemente retoriche, le quali nella sostanza colgono un aspetto centrale del WRC odierno: l’assenza dell’elemento ciclico. Negli ultimi anni l’assenza di investimenti nel mondiale rally ha ristretto la partecipazione ad appena due case, che hanno sbandierato, con molta franchezza, uno schema abbastanza tradizionale. Oggi, l’ampiezza della sfida, il cui pallino paradossalmente è in mano solo a Volkswagen, favorisce un clima di confronto, intergenerazionale e redditizio sotto ogni profilo. Eppure, il Rally d’Alsazia 2013, in cui a scontrarsi è la modernità con il passato, l’emersione con l’immersione di determinati piloti, è il frutto di due lustri di quasi sostanziale immobilità, è il punto di non ritorno nella globalità del mondiale rally moderno.

L’era del budget come asticella della carriera di un pilota è stata la vera emorragia di uno sport che parte da una teoria di fondo opposta. Nella categoria WRC, che pure dovrebbe essere una via intermedia fra elitarismo e dilettantismo, c’è una disordinata confusione degli elementi. JWRC e WRC Academy, con format leggermente differenti ma nel riscontro pratico assai simili, non sono riusciti a produrre più un vincente. Indubbiamente, ad allontanare il mondiale dal suo fulcro, è una composizione metaforica della cellula, dotata di un’articolata organizzazione, in autonomia, ma chiusa da una membrana ristretta. I volti, dagli anni sopra indicati, si sono al massimo riproposti in forme diverse.

Già con l’ingresso di nuovi, interessanti piloti quali Hanninen e Neuville, grazie al sempre efficace “veicolo” intermediario creato da Ford, si è letto un primo approccio differente. Un dream team che guarda al futuro, non indietro: in due tappe, Tidemand può raggiungere nel 2015 l’agognato WRC e farsi portabandiera di un’importante inversione di rotta, inevitabile, poiché anche il mondiale ha urgente bisogno di un ricambio, di una nuova veste. Lo svedese può chiaramente, su questo piano, essere il capocantiere di un’edificazione rinnovata, l’imperativo è vincere, da “self-made man”, l’uomo che costruisce e cuce attorno al proprio corpo la fiducia, gli sponsor e gli appoggi; si legge un’etica sportiva non dispersa, ma che certamente si è rarefatta. Detto questo, il titolo costituisce un decisivo allargamento dei cordoni della borsa: il premio economico è l’elemento che può dare continuità materiale al progetto, il successo è una cassa di risonanza ed un’incitazione significativa a proseguire con determinazione e con la medesima audacia. Dissipare ora l’energia e il vigore momentaneo, sarebbe un errore marchiano, perché finalmente si presenta l’occasione per raccoglierne i frutti, quali prestigio e quote nei piani alti delle squadre.