Dopo una tappa dura, come quella che ha portato gli equipaggi ad Iquique ieri, attraverso un percorso in larga parte tratteggiato da dune, la carovana della Dakar affronta l’ultimo e letale trittico di prove, anche se bisogna opportunamente specificare che da ieri, la gara ha iniziato un itinerario spietato, segnato dal leitmotiv della sabbia e del “fesh fesh”.
D’altronde, in seguito ad una settimana segnata da un’orografia radicalmente differente, la Dakar finalmente vede l’Oceano Pacifico, prima coordinata geografica conquistata e a lungo ambita: obiettivo raggiunto anche dalla Pandakar, giunta al bivacco a tarda notte.
In modo speculare al 2013, i colpi di reni non vengono affondati ad inizio gara, con fughe agili, bensì solo nel tratto finale: due ruote a parte, dove cominciano a intravedersi le prime forme di un podio, nelle restanti categorie si evidenziano gaps irrisori, privi di una qualsiasi consistenza, ma procediamo con ordine.

Nella categoria auto, vittoria per Al Attiyah, il pilota poliedrico che mette a segno il secondo successo di tappa nella Dakar 2014: sebbene il podio sia diventata una realtà, infatti il qatariano è terzo a quarantotto minuti dalla vetta, c’è “da mangiarsi le mani” per quella penalità subita durante la Chilecito-Tucuman. Senza quella sanzione comminata per un mancato passaggio al WP1, egli si troverebbe in testa; tuttavia, nulla, specie alla Dakar, si fa con i se e con i ma. L’unica certezza, è proprio la solidità di un tridente Mini che, ancora una volta, giocherà in famiglia. E questa volta, ponendo attenzione ad un “fratricidio”, giacché il sornione De Villiers, per quanto distante, può solo che guadagnare da una resa di conti interna. A quattro minuti, c’è il “pater familias” del team, Stephane Peterhansel, terzo, a ben quattordici minuti il leader Nani Roma: un ricompattamento del terzetto che guida anche la classifica al rovescio, sintomo di una tendenza chiara nella squadra. Il francese, undici volte vincitore, si trova ormai a soli due minuti dallo spagnolo. Il vantaggio accumulato dal campione dell’edizione 2004 su moto, nonostante una condotta magistrale, si è ridotto drasticamente di prova in prova, a causa di un’amministrazione prudente, è vero, ma non solo. La pressione indotta dagli inseguitori, dopo l’arrivo a Tucuman, è stata tanto esemplare quanto efficace, una vera e propria “spada di Damocle” sulla testa di Roma il quale, fino ad ora, ha usato l’arma della saggia accortezza. Bisognerà sfoderare le ultime risorse per sperare di vincere.

Quarto è quindi Giniel de Villiers, a quasi mezz’ora, mentre il polacco Holowczyc è quinto, con un distacco di qualche minuto superiore. Chi dice addio, invece, è Carlos Sainz, ieri precipitato ottavo, autore di un incidente nel tragitto neutralizzato fra una sezione di speciale e l’altra. Un mesto ritiro, di una performance che aveva da tempo iniziato la sua parabola discendente.
Orlando Terranova, è solo settimo, dietro Vasilyev: la quinta posizione generale, dopo le premesse di inizio gara, è un risultato magro, accompagnato dalla totale assenza di vittorie di speciale in bacheca. Guida con onore, ma lo spirito combattente del 2013 si è in parte dissolto.
Ottavo è Lucio Alvarez, l’argentino della Ford ufficiale, il quale, a sua volta, ha il suo più grande avversario nel suo pickup, una sorta di vittima tradita dal “cruccio” di una vettura ancora criptica, un “oggetto misterioso”.
Chiudono la top ten Villagra e Lavielle, che risale ottavo, ma a ben quattro ore e mezza dalla testa della gara.

Fra le moto, ennesimo successo di Joan Barreda Bort, con il team Honda focalizzato completamente su una tattica offensiva, la logica della rinuncia o del tentennamento non le appartiene. Ed è così che lo spagnolo rifila ben otto minuti al compagno Rodrigues, secondo e quasi dieci a Cyril Despres, in violenta rimonta, ma non ancora arrivato al culmine di un processo di riavvicinamento al podio, il quale, d’altronde, dista ventisette minuti. In modo simmetrico, Olivier Pain forza il ritmo, chiudendo alle spalle del connazionale, a undici primi da Barreda Bort, mentre quinto è il “caudillo” Marc Coma a undici minuti. Si defila dalla lotta per il podio invece l’ottimo Israel Esquerre, il quale aveva iniziato sin dalle prime tappe un recupero consapevole, portandosi nella top five. Questa tensione verso l’alto, fra l’altro, si restringe ancora di più attorno ad un corpo stretto di piloti conseguentemente alla prestazione modesta di Jordi Viladoms, scudiero di Coma, che ha chiuso undicesimo oggi: prestazione insufficiente per sperare di conservare una manciata di minuti sugli affamati predatori. Certificata, in via definitiva, la solida sesta posizione di Przygonski, privato “di lusso” ed unico a rispettare alacremente il passo gara forsennato della top six. Risale in diciannovesima posizione il nostro Paolo Ceci, fra qualche imprevisto e una forma non perfetta.

A domani per la sintesi della terzultima e forse decisiva tappa, che sarà integrale, arricchita dalla sintesi della tappa odierna dei camion.

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