Siamo ormai giunti agli sgoccioli di una Dakar che si appresta a terminare il suo corso, denso di contraddizioni; si aspetta per festeggiare, in quella che è in fondo l’alchimia di talismani e totem della Dakar e, paradossalmente, quella che sembrava la partita veramente chiusa, con l’ordine degli alti vertici Mini per congelare la classifica, si è rivelata la più sorprendente sotto questo punto di vista: dopo tribolazioni, insabbiamenti, forature, il gap è ridotto ad una grandezza degna del WRC, appena 34 secondi fra Peterhansel e Roma. Simultaneamente all’evento che si svolge fra le gelide Alpi Occidentali, si respira la stessa aria della tensione, il dramma dell’imprevedibilità che, nonostante tutto, può cogliere anche il più accorto.

Riavvolgiamo il nastro, prima di tutto: ieri, a tarda notte, la decisione resa pubblica dai piloti stessi, di mantenere e preservare le posizioni, aveva attirato numerose critiche, spesso taglienti, dalla stampa sportiva, che aveva lecitamente condannato una manovra che lacera la Dakar, lacera il rally.
Non possiamo ancora trarre conclusioni, l’arrivo a La Serena prevede un lungo tratto in trasferimento e, ad ogni modo, nessuno ha ancora rilasciato dichiarazioni in merito al ribaltamento della classifica, possiamo al massimo ipotizzare un lieve problema -una foratura- che non è certo da escludere. Unica certezza è data dal plurivincitore dell’evento, che “tira dritto” in prova, andando anche a vincerla, in duello permanente con Al Attiyah, saldamente terzo. Dall’altra sponda, Nani Roma si è sempre mantenuto su split molto alti, indice, procedendo sempre per via ipotetica, di una tattica prudente, tutta calcolata su quanto già prestabilito nella “stanza dei bottoni”: solo nel finale, dopo la beffa, è avvenuto un recupero marcato, sulla sabbia, con un gap che è andato dimezzandosi a circa sei minuti dal francese; nel mezzo appunto il qatariano, a tre minuti e mezzo divertito osservatore di una vicenda a tratti “kafkiana”.

Segue l’altro scrutatore, Giniel de Villiers, ottimo quarto, ma davvero lontano per perseguire obiettivi squisitamente più elevati, sul profilo sportivo. Sul piano qualitativo, doti indubbie, affiancate da un mezzo che comincia mostrare i primi segni della vecchiaia.
Quinto è Holowczyc, a diciotto minuti, saldamente sesto nella generale, mentre si riconferma sesto Ronan Chabot sul buggy SMG, con un distacco analogo; settimo è il locale Garafulic, seguito a ventisei minuti da Peterhansel da Lucio Alvarez, rientrato negli alti ranghi della classifica.
Solo nono è Terranova, a mezz’ora dalla vetta, il quale cede dunque la quarta piazza al sudafricano De Villiers.

Tirando le somme, emerge una prova non particolarmente tecnica, piuttosto impegnativa nel tratto sabbioso delle temute dune di Copiapò, territorio dalle sfumature leggendarie, ma nel complesso lontana dai canoni delle ultime due prove, distruttive sotto ogni ottica. Anche la tappa finale, di appena centocinquanta chilometri, non dovrebbe rivelare particolari insidie. E pensare, per l’equipaggio della Pandakar, che il distacco “fisico”, non più mentale, da Valparaiso era ormai limitato. Due giorni trascorsi nell’insonnia, nella sofferenza, ma la Panda, nella terzultima, prova, non è riuscita a valicare l’ultimo ostacolo, lo sforzo ultimo della tappa di ieri, fin troppo provata dalle numerose fatiche. La conquista, tuttavia, è già grande, anche se l’intransigenza dei commissari, che non ha consentito il rientro di uno dei mezzi di assistenza, ha favorito il metaforico decesso del paziente.

Categoria camion, dall’altro lato, che tende specularmente a chiudersi: solo un colpo di scena potrebbe riaprire una partita sostanzialmente chiusa. Oggi Gerard De Rooy è andato all’attacco, una vera e propria sfida al rivale Karginov, il quale, in tutta risposta, ha rilanciato la propria offensiva, consapevole della consistenza del proprio camion e della sua robustezza: alla fine vince l’olandese, provando tutte le soluzioni, ma concludendo con appena mezzo minuto di vantaggio. Vittoria per rintuzzare il morale, ma che di fatto non produce nulla, grazie agli oltre sette minuti di cui può disporre il russo, da gestire ampiamente nella giornata di domani. Storia, dunque, di un assalto riuscito, anche grazie al ruolo svolto da Nikolaev, terzo di giornata e nell’assoluta, seguito dal restante squadrone, “il Terribile”, composto dalle più giovani leve Shibalov e Sotnikov, entro un distacco di undici minuti. Scende verticalmente Ales Loprais, certamente svantaggiato dal fatto di non avere team mates, risorsa preziosa ed indispensabile in questa categoria, crollato in giornata, lasciando sul terreno quasi tre ore.

Chiudiamo con le moto, citando la vittoria di Despres, che mette a segno il secondo successo quest’anno, addolcendo il sapore di una Dakar partita male e che si è chiusa nella profondità di un buio dal quale non si intravede luce, ritrovata solo nel finale; ci sono solo quattro minuti, nella generale, che lo separano dal compagno Pain: è da considerarsi possibile un recupero?
Sentenzierà la prova rimanente; nel frattempo, nella giornata odierna, mantiene un passo gara tutt’altro che contenuto Marc Coma, seguito appunto dall’altro francese della Yamaha, a quasi sei minuti. Una rimonta quella di Despres, alimentata dai numerosi errori degli avversari e dalle loro tribolazioni, ma anche da una sempre vivida e sapiente autoanalisi, oltre che da una lettura sempre profonda delle prove, condivisa dall’eterno rivale Coma. Quarto è il portogallo Rodrigues, mentre quinto è Viladoms, che porta a termine la doppietta KTM che sancisce e decreta l’ennesimo successo della casa austriaca, dal valore altrettanto notevole. Non sono ancora tempi maturi per la Yamaha, competitiva, ma ancora carente sul piano dell’affidabilità, che non può non essere capitale in una Dakar; lo sa Barreda Bort, che ha rotto la testa dello sterzo, spianando la strada agli avversari più agguerriti, ritrovandosi a ben tre ore, in settima posizione.

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