Dopo un giorno di riposo, in cui sono state “caricate le batterie”, ma sono stati anche massicci gli interventi sui mezzi: una giornata, dunque, in cui si curano le ferite e si prova a coprire una sorta di “vulnus”, perché dopo quanto successo a Palante, c’è forse da ridimensionare il confine, che in questo caso non è certo un filo sottile, fra la gara come simbolo della dedizione umana e il superamento stesso dei diritti dei piloti. Consapevoli certamente a ciò contro cui vanno incontro, ma i punti di ombra di una Dakar che ha smembrato il feticcio sudamericano sono numerosi. Quel totem a cui ci riferiamo, in effetti, è stato definitivamente scavalcato: il confronto fra le edizioni africane e quelle del “Nuovo Mondo”, oltre che essere inconsistente per le evidenti differenze morfologiche, l’evento ne ha raggiunto le punte più estreme. Di questo, ad ogni modo, se ne discuterà a lungo, giacché la riflessione è quantomeno coercitiva, multilaterale, deve coinvolgere l’appassionato e i dirigenti ASO.

Fra le auto, successo di Carlos Sainz, con una firma sempre ben distinta: la prova ad anello di Salta è una miscela in cui si fonde sterrato ghiaioso, che non ha pagato le conseguenze delle recenti piogge, sabbia ed un tratto in cui è presente una salina. Sul territorio brullo e spoglio, domina dunque lo spagnolo partito con l’intento chiaro di recuperare terreno, riaccendere la speranza ed un morale distrutto, dopo il problema elettronico che ne aveva distrutto la prestazione, a cui si somma un’ora di penalità. E sono già nove i minuti recuperati su Roma, in una prova che, a dispetto della sabbia del Cile evidentemente imminente, è ancora marginale sul piatto finale dei gaps.
Segue una coda di ben sei Mini, con Al Attiyah a cinque minuti, Stephane Peterhansel non ancora mordente –sempre in vista delle dune in Cile- a sette minuti e il leader della classifica Nani Roma. Uno squarcio che in fondo combacia con l’equilibrio dello start di Rosario, non è una novità la versatilità della Mini, con la quale un debuttante come Villagra, sesto dietro a Holowczyc, è capace di mettere a segno discreti piazzamenti, così come la competitività “intermittente” del buggy SMG. Sprofonda Orlando Terranova, poco spumeggiante, a dispetto della consuetudine e ne approfitta Giniel de Villiers, che pure oggi non è stato particolarmente brillante, il quale salta sul podio provvisorio, a sua volta composto dalle stesse figure del 2012; nella top five, da due anni a questa parte, il team X Raid prende tutte le fette più grandi della torta. Quadro nella classica assoluta quasi immutato, se non con la risalita di Holowczyc, ottavo, di Villagra, nono, e di Lavielle, decimo con il suo Haval, tornato in ombra dopo il “boom” della scorsa settimana.

Fra le moto, non avviene affatto un rovesciamento delle proporzioni delle auto: infatti Barreda Bort, connazionale di Sainz, si muove nella stessa direzione, favorendo la propria rimonta, la quale, come si può facilmente osservare, può risultare più agevole di quella di Sainz. A partire, osserviamo noi, dalla estrema facilità con cui si può capovolgere l’esito di questa categoria, molto più sensibile a variazioni brusche, di cui è stato vittima Alain Duclos, l’outsider Sherco, evidenziatosi per una maniacale precisione nella navigazione, oggi invece incappato nell’errore stesso, impiegando una ventina di minuti a trovare il WP1. Il tris dello spagnolo, dunque, permette di consolidarsi in seconda posizione, rafforzandone la dimensione di antagonista.
Segue Coma, intenzionato a non dilapidare alcuna porzione dell’ampio vantaggio costruito: un tallonamento che si fonda sulla necessità di sfruttare in profondità le possibilità offerte dalla tappa marathon, iniziata oggi, in un certo qual modo uno degli ultimi appigli per gli avversari più agguerriti. Terzo Cyril Despres, quarto Pedrero Garcia, quinto Przygonski e sesto Israel Esquerre, in un distacco compreso fra i cinque e i dieci minuti: un novero fra quelli, appunto, che conteranno solo sulla risorsa umana per racimolare terreno.

In modo del tutto speculare, fra i camion vince un principio di continuità, di cristallizzazione della classifica, processo che corre verso De Rooy, il quale, finora, senza evidentemente forzare all’eccesso, conduce con un agevole e vantaggio di quasi quaranta minuti; vento sfavorevole invece per Karginov, che dopo aver inseguito ad oltranza l’olandese, ha consumato il fiato: sono ben nove i minuti persi dalla vetta e l’impianto d’attacco è tutto da rifare.
Dopo una lunga attesa, finalmente torna a brillare Nikolaev, il vincitore in carica, che ha staccato il team mate di quattro minuti; a quattro minuti e mezzo il vincitore dell’edizione 2012, sull’Iveco Torpedo. Un guizzo che, se ha l’effetto di ritemprare il vigore di una carica fallita, per il coraggio mostrato piuttosto dai compagni, che dal condottiero, dall’altro lato rischia di restare isolato per l’enorme distacco del russo.
Quarto Versluis sul MAN, mentre continua a deludere Ales Loprais sul Tatra, solo quinto; anche Hans Stacey, sull’Iveco Trakker, continua fra stenti e patimenti la sua Dakar.

Un clima da “pathos greco”, frutto di una sapiente forgiatura effettuata dagli organizzatori, che sicuramente raggiungerà il suo culmine domani, con l’ingresso in Cile e lo scenografico Salar d’Uyuni alle spalle.

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