Il Rally del Messico, come di consueto, finisce per rientrare negli annali più per la sua proprietà di “imbuto”, di gara estremamente selettiva e tecnica, che per costola di un WRC “eurocentrico”, il cui cuore è in Europa. Quel cuore, però, batte anche in Sudamerica, dove la presenza massiccia di pubblico ha offerto una cartolina brillante; l’asse dello sport comincia a spostarsi, parallelamente al ruolo primario che svolge il Messico come potenza economica del continente: c’è un feeling indiscusso fra FIA e la nazione del Centroamerica, nonostante alcuni episodi spiacevoli affiorati in occasioni passate. E il baricentro sportivo si muove, così come nasce la grande antinomia in casa Volkswagen, la quale, dopo aver lasciato in Svezia i propri piloti a briglie sciolte, inaugura la stagione della politica della bilancia, del grande equilibrio volto a favorire l’ottimizzazione del risultato finale. Il “centro di massa”, appunto, si muove verso il centro della piramide tedesca, l’egemonia complessiva della squadra viene tutelata e salvaguardata; un cambio di passo, se non una vera e propria coalizione nascente, un “fronte per l’equilibrio”. Traducendo in termini generali, “la cortina di ferro” Volkswagen si è pienamente manifestata nel contrapporsi al più fragile ma emergente blocco Citroen: una nuova alchimia con la quale la casa di Wolfsburg si riafferma come indiscusso vertice della serie. Non una caricatura, bensì una nitida fotografia di una tetrapartizione del campionato, l’assetto oggi più congeniale per un campionato che nella “balance of power” ha sempre ritrovato il suo volto originale. Nessun attrito, dunque, nell’evento che sancisce una nuova geopolitica interna al mondo del WRC, nella quale comincia ad intravedersi qualche elemento di novità: ciò che non vuole Volkswagen, per intendersi, che persegue lo status quo e ha compreso quanto valore abbia il senso unitario e collettivo, le due doppiette all’attivo sono forse il simbolo più lampante di come sia maturata una fresca consapevolezza delle risorse umane a disposizione. E se Ogier resta la figura di riferimento, non è più una compagine tutta centralizzata sulla sua figura, ma c’è anche l’alternativa, redditizia, degli scandinavi. E quest’anno, certamente, non vorranno solo ribadire il ruolo di comparsa.

CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI


Sèbastien Ogier 9½
Volkswagen 9

Brillante come di consueto, nella prova messicana sfoggia una gamma di risorse personali già nota, più volte messa in luce Questa volta però affiora anche l’etica della rinuncia iniziale, del risolvere la “pratica Messico” tout court, per così dire. Il francese non ha più fretta e ha ritrovato nella costruzione pezzo per pezzo, è una prova condotta con sapienza e rigorosa finezza, da “elaboratore elettronico”, senza perdersi in una gara a perdifiato come in Svezia. E’ a metà fra l’ideale più machiavellico e l’uomo che incarna la ragion di Stato. L’unica certezza, è propria raffigurata dal Rally Messico, che ha proposto un ritratto chiaro del contesto intestino VW: non c’è più alcuna apertura alla concezione di squadra racchiusa nel tutt’uno di un pilota, si rifiuta l’intelaiatura storica del double chevron. La convivenza, solo per ora tollerante, del binomio Volkswagen, è preconizzante, anticipa un futuro più caldo e non più così pacifico. Nel frattempo, però, la sua sistematicità è devastante psicologicamente, lacera le convinzioni degli avversari e li costringe, entro due giornate, alla resa incondizionata. NERVI SALDI


Jari-Matti Latvala 8½

Molto meno tonico che in Svezia, non smarrisce l’obiettivo primario, la piazza d’onore, ma decreta autonomamente la propria incapacità di raggiungere il francese con sforzi propri. E’ d’altronde vero che l’arduo ruolo di apripista ne ha sin dall’inizio compromesso le ambizioni; da quel momento, inizia una positiva inversione di tendenza, in una prova finalizzata all’agganciamento del rivale Ogier in condizioni avverse. Difficile definirla come la gara “purificatrice”, dopo anni di misfatti, ma è sicuramente l’anno decisivo per spezzare il tabù delle due gare vinte per anno. E’ stato il tetto oltre il quale non è mai riuscito a spingersi, raggiungendo così in via coercitiva appellativi ed epiteti di scarsa nobiltà. Non è il primo slancio buono della carriera, definirla la munizione vincente è ancora presto. Tuttavia promuove un nuovo corso, a partire dal Messico, fatto di una raccolta di ciò che i rivali lasciano a terra, senza scadere in un pessimo tatticismo. Ogier ha imposto il suo diktat, Latvala ha risposto senza indugio. Ed è un segnale di grande vitalità. TEMPRA

Thierry Neuville 7½
Hyundai 7

Non è forse la prova migliore con cui celebrare il primo podio con Hyundai, ma sicuramente è la località più ideale per collocare un punto di partenza del progetto coreano che, di fatto, fino ad ora, non è ancora veramente partito. Da decifrare e sbrogliare gli intenti di una casa che vuole sperimentare durante la stagione, ma che è conscia della necessità di coniugare a questo aspetto anche un primo abbozzo prestazionale. E sul piano dell’affidabilità, ci riserviamo di promuovere una i20, la quale ha prima sofferto problemi elementari in termini elettrici, poi ha patito in tutto l’ambito di raffreddamento, nevralgico e cardine sul quale i tecnici si sono soffermati con particolare attenzione per via della natura dell’auto. Un approccio conservativo, condiviso da squadra e pilota, che ha lasciato fruttare prodotti maturi, con un podio simbolico che rappresenta un punto di svolta indiscutibile e incontrovertibile. Lo smarrimento iniziale, il ritrovo in Messico, quello del belga Neuville e della sua squadra pare un percorso comune, condiviso nei “plus e nei minus” del progetto. Alla più spontanea gratificazione, però, in Portogallo si dovrà accostare un percorso convinto di risanamento, al fine di rendere questo risultato un vero indicatore del potenziale Hyundai. CONCRETO


Elfyn Evans 7½
Ford 7/8

Ottimo è il percorso di crescita intrapreso dal giovane britannico, la cui bontà in prova è fatto assodato già dai tempi del JWRC; nello “svezzamento”, che si poteva presumere come prematuro, Evans si è comportato egregiamente, ostentando grande sicurezza e doti di guida notevoli, riassumendo e sintetizzando la delegazione giovanile in Messico; ancora in fase di apprendimento, è il più tonico e fino all’ultimo tiene testa alla cavalcata di Neuville, il quale definitivamente andrà a sopraffarlo, ma conduce una performance di onore e sostanza, convince dopo appena tre eventi, fra l’altro non ancora reali cartine tornasole del campionato. Una piccola dose di tempo farà germogliare un talento ancora acerbo, ma promettente. PROMETTENTE

Martin Prokop e Benito Guerra jr. 6/7

Il Rally del Messico, poi, non è solo la gara degli outsiders, ma anche dei grandi regolari e dei locali, che a loro modo sanno interpretare in modo ottimale la gara. Sulla lunga distanza, il ceco ha mostrato anche i propri limiti, a partire dalla Guanajuatito, affrontata con una seria e significativa scrematura dai rivali più congrui, se non perfino da quelli del WRC2. Tuttavia, senza “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, una condotta pragmatica e cosciente dei propri confini, noti come le proprietà di quella che è stata una “lotteria russa”, è stato l’ideale cavallo di Troia per penetrare nella mura solide della top six. Che per un locale come Guerra jr. vale come una vittoria, con gli occhi già puntati ad una possibile partecipazione al Rally di Argentina.

Chris Atkinson 5/6

Un weekend tribolato e funesto per l’australiano, una prestazione avvelenata dai più disparati inconvenienti, dal sistema anti-lag del turbo alla rottura di una sospensione, passando per una foratura. E’ il fine settimana privo di grazia, ma d’altronde della fortuna si è anche fabbri: è così, infatti, che accanto a tre giornate oscure, si pone l’atteggiamento di Atkinson, nella pratica assolutamente dipendente dal comportamento della propria vettura. Non c’è la celeberrima pezza del talento sportivo, ma non c’è neppure una discreta linearità. Poco brio, scarsa effervescenza sono gli ingredienti di un weekend fallimentare da un punto di vista psicologico, che vanno ad erodere la convinzione di grande interprete degli sterrati d’oltreoceano. Anzi, si palesa ormai un percorso nel WRC al massimo da comparsa. Positiva –l’unico punto da cui proviene luce- la forza d’animo con cui spinge la i20 al traguardo con i relativi sei punti nell’assoluta.

Mikko Hirvonen 7½

Fra i piloti più vituperati del mondiale, per la scarsa profondità e incisività nell’azione, in Messico ha sfiorato la scrittura di quello che poteva essere, se non altro, un buon capitolo della Ford in via di ristrutturazione del 2014, l’ultimo atto della Fiesta pre-restyling. E invece la gara della quale è stato sempre ottimo interprete, “da manuale”, lo tradisce. O per meglio dire, le alte temperature raggiunge in Messico, possibile concausa del suo ritiro, a causa della rottura dell’alternatore. Da ipotizzare, dunque, qualche problema nella gestione del voltaggio, essendo un guasto già presentatosi al Montecarlo. Detto questo, la prestazione è quella dell’Hirvonen che piace, quello competitivo e mai demordente, veloce quanto basta per porsi al top della classifica, nelle prime fasi addirittura davanti a due Volkswagen, nel blocco della leadership. Il ritorno in casa Ford sembrava solo un’artificiosa operazione, invece pare essere un progetto di non breve durata, nonché concreto, se non ricostituente e fortificante. TONICO

Mads Ostberg 7
Citroen 6

Il norvegese è veloce, vola, cerca il duello, con l’ennesima provocazione messicana nelle fasi iniziali della gara, lo stuzzicante tentativo-tentazione di sovrapporsi alla figura di Ogier, con un colpo di mano astuto, l’azzardo o espediente che dir si voglia per superare quella soglia psicologica del temporeggiamento che ha così lacerato la competizione del campionato. Operazione fra l’altro promossa dalla spinta regolamentare, che ha costretto il duo Volkswagen a pulire il fondo: è partita sotto quest’ottica l’impresa di Ostberg, la quale, tuttavia, è andata scemando, dalla sua robustezza iniziale, ad una consistenza notevole, ma inadeguata per competere per il successo. E quel disperato tentativo di ripartire, a metà iter di gara, è la fotografia della parabola discendente, nel suo massimo culmine, con reminescenze del 2013 annesse; Ostberg, arrivato come ufficiale di punta, non riesce ancora a slanciare un percorso comune, il quale, tuttavia, manifesta grandi intenti e reali possibilità di successo…

CLASSIFICA WRC2


Yuriy Protasov 7½


Ott Tanak 7

Ottimo ed efficace come sempre, l’estone si spreca in una sorta di cupio dissolvi, tradizionale nel filone di alcuni rocamboleschi piloti baltici. Non c’è continuità nei risultati, all’esaltazione per il quinto posto in Svezia c’è l’antitetico ritiro con violenta uscita di traiettoria compresa che gettano una macchia, una traccia indelebile sul weekend ripartito solo nella seconda tappa. Con l’amarezza che comporta un ritmo da WRC, chiaramente superiore o comunque comparabile con quello di Prokop, dissolto con estrema leggerezza nelle prime battute. Essendo, d’altronde, il titolo WRC2, a portata di mano.

Lorenzo Bertelli e Massimiliano Rendina 7

Quella italiana è una spedizione che dal 2014 si fa più robusta, incisiva e soprattutto mordente, capace di aggredire, se non altro, le posizioni di rincalzo. Potremmo osservare, d’altro canto, che un italiano nella serie massima potrà arrivarci solo attraverso un passaggio attraverso le serie minori, chiaramente propedeutiche a quell’obiettivo. Se da un lato la prova di Bertelli è stata offuscata da quell’uscita di pista, consistente è stato il ritmo, così come quello di Rendina, al pari dei migliori locali messicani, pur essendo alla prima esperienza in terra sudamericana.

CLASSIFICA RITIRATI

Kris Meeke 5½

Privo del più tradizionale equilibrio formale, alquanto british, è il non-telos del britannico che, dal post-Montecarlo lancia i primi segnali di allarme, le prime avvisaglie di un pernicioso smarrimento controproducente e soprattutto tratteggiato da aspetti piuttosto paradossali, se non assurdi. Due rotture, due sospensioni posteriori danneggiate in modo irreversibile, di cui una nell’ultima prova, in diretta live: non un biglietto da visita positivo, nonostante i risultati puramente prestazionali gli stessero dando ragione nella prima giornata. E’ il bicchiere mezzo pieno intravisto da Ostberg, giacché il binomio Citroen è capace di forgiare risultati di primissima selezione, ma non è altrettanto abile nel trasformarli. Dal Portogallo serve un cambio di rotta.

Robert Kubica e Andreas Mikkelsen 5

Imbattersi infine nel discusso e dibattuto Kubica risulta essere opera ancora più ardua, giacché il doppio “crash”, condiviso con Mikkelsen, anche nella violenza dell’impatto, è frutto di una lunga catena di incidenti che ha origine dall’anno scorso. Lo stilema della gara è sempre il medesimo, le prestazioni di entrambi sono sempre condotte in modo del tutto personale, spigoloso e tutt’altro che tenue. Ed è forse il fascino più ruvido che il WRC possa vantare: questo volto lo può trovare nei due drivers, che non peccano di eccessi in linearità, bensì viceversa. Troppo ingenuo, nonché inaccettabile l’errore del primo nella prova spettacolo, marcatamente violenti quelli del secondo. Entrambi esprimono la stessa condotta dalle sfumature bizzose, dai tratti esacerbati, una vera dilapidazione di due diamanti dell’era più recente del mondiale.

DENTRO IL RALLY DEL MESSICO

Le soluzioni casarecce del WRC hi-tech

L’episodio inerente il raffreddamento della vettura di Neuville è stato sufficientemente commentato, per la sua natura istrionica e fumettistica. E non ci possiamo non accodare nel definirlo tale, un’oasi nell’asprezza della competizione che non si riserva mai di riprodurre eccezioni. Tuttavia, non può essere estromesso il valore didascalico di una parentesi che traccia il ritratto in breve, in una cartolina, del WRC più amato, quello legato alle sue più ancestrali tradizioni, alla sua natura di sport finemente tecnico coniugato con i valori della semplicità espressiva dell’istinto umano.

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