Il Rally di Sardegna, pomo della discordia che fa discutere, che lascia alle proprie spalle uno strascico piuttosto ampio: il rally “giunonico” e maestoso, il diamante del Mediterraneo, squarcia un mare piatto per rimettere in discussione una scala di valori della performance che, in realtà, in Italia si è ripetuta. Il WRC, del resto, è così desiderato dagli appassionati; quel senso conflittuale, che si è potuto decodificare anche dalle dichiarazioni dei piloti, è anche un’arma vincente. L’indice di gradimento così eterogeneo, infatti, risale già dallo stravolgimento del percorso del Rally di Sardegna, che inevitabilmente doveva subire un “refresh”: per non perdere il titolo di regina del Mediterraneo, la gara aveva bisogno della discontinuità, per emanciparsi e per affermarsi come realtà in pianta stabile; giovane nello spirito, nel decimo anno è intervenuta una revisione degli stilemi della gara.
E’ il significato a essere profondamente tramutato, il concepire la gara sotto un’ottica differente, attraverso un ribaltamento eterodosso delle performances precostituite. E l’endorsement autorevole di Meeke e Mouton verso un ritorno al Sanremo misto, che non commentiamo, lascia perplessi. Perché parte da presupposti obsoleti, privi di quel pizzico di ragione richiesto per l’organizzazione di un rally mondiale, in quanto decontestualizzati da una realtà profondamente diversa da quella di allora. Il WRC non è un gargarismo: la massima razionalità e prudenza sono d’obbligo nel ridisegnare il profilo di un evento di tale rilievo. E, concludendo, ,l’uso di dichiarazioni-spot, da parte di piloti e FIA, andrebbe limitato al massimo. Perché si rischia di cadere in infelici ambiguità, in contrasto con quello che è poi “l’interesso nostrano”, intento giustamente a proseguire coerentemente sulla propria strada. Certo è che la gara ha attizzato chi, dall’inizio della stagione, aveva cementificato un vero e proprio “cartello” VW, il “trust” del celeberrimo “divide et impera”, ovvero quel dividere e frammentare l’opposizione dei rivali, talvolta tenace, talvolta gracile.
Il dualismo, dunque, è tutto da ricercare nel contrasto VW-Hyundai, i due poli che contano veramente, l’uno ostile alle modifiche, fra la nonchalance e l’aperta condanna, l’altro galvanizzato dall’omogeneizzazione della performance. A placare le polemiche, rimbalzate da un abitacolo all’altro, è stata la stessa casa tedesca, la quale, con il suo lavoro di fino, ha tessuto una prestazione all’inverso, partendo dalle retrovie, dominando con la consueta freddezza del gigante, che divide i più piccoli, tracciandosi un sentiero intermedio. E’ una prestazione da prendere “con un granello di sale”: fra l’asprezza, forse eccessiva, del percorso e la rivalorizzazione della gara sterrata più dura e cruda, è possibile ritrovare sicuramente nell’evento sardo un appuntamento tutt’altro che scevro di vitalità. Riuscendo nella difficile opera di trasvalutare l’intelaiatura tradizionale, disdegnando un abito consueto e conservativo.

CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI

Sébastien Ogier 9/10
VW 10

L’Ogier che vince in Sardegna è il più imprevedibile di tutta la stagione, il più criptico, dal momento in cui le due facce di una gara inevitabilmente si ripercuotono sul senso del duello in famiglia, del contrasto con Latvala che non è ancora dualistico, ma rischia di diventarlo. Il francese in Italia raccoglie il guanto della sfida, non ripudia l’infiammato confronto interno, anzi lo alimenta, favorendo quel gioco di nervi che spesso –ma non sempre- lo ha visto prevalere. La forza individuale, potremmo dire, assieme alla sua spinta propulsiva verso la cima, resta il patrimonio più grande in Volkswagen, ancora incapace di mettere a segno una tripletta che, sulla carta, è alla portata del team. Non c’è più l’ambizione del dimostrare, anche perché il trittico Argentina-Sardegna-Polonia è quello più duro, più affine ai piloti puntuti come Latvala, che viceversa manifestano un feeling verso i percorsi più aspri. L’approccio, nonostante la crisi del venerdì, è già quello dei periodi più floridi della carriera, metodico e puntiglioso, il più pulito nei luoghi a forte impatto emotivo, fra la Crastazza, la Monte Lerno e la Castelsardo. Ma l’ipoteca, dal suo canto, con un Latvala così, è lontana.

Mads Ostberg 8
Citroen 6½

Il più flemmatico Ostberg, non certo quello dei tempi d’oro, raccoglie le cospicue briciole di un titanico duello in cui si è posto, quasi, con gesto di orgogliosa sfida, a rompere quelle catene con le cesoie del “ressentiment”, un risentimento che fa da tampone alla travolgente Volkswagen, che ha investito una concorrenza il cui ventre molle è, probabilmente, proprio individuabile nella Citroen.
Di per sé, la prova quasi esemplare, ha avuto solo un punto apicale, ovvero nel respingere gli attacchi pungenti e tutt’altro che infiacchiti di Latvala, nell’ultima giornata. A dimostrare, certamente, che la casa francese può scrivere la sua storia, se non fosse per quel duello pilota-vettura che si risolve solo a gara avviata. L’azione del norvegese, che pure può vantare l’accezione di “fantasista”, generalmente profonda e pimpante, rischia di cadere nella catalessi.

Jari Matti Latvala 8/9

Chi, invece, il guanto l’ha tirato, chi ha sfidato caparbiamente il rivale, è stato vittima forse di un eccesso di hybris, di superbia, affrontando impudentemente quello che è già nel Palmares dei grandi. Piace il Latvala di sempre, che non rinuncia e non si tira indietro, fa della propria guida sporca e ruvida una dottrina: ancora una volta, il maestro della Sardegna, assembla una prestazione da antologia. E ancora più forte è il correre in controtendenza, il rispondere per le rime a chi lo aveva offuscato sullo stesso piano, cioè in prova speciale. Troppo tardi, ormai, per ambire a entrare nel circolo dei più grandi del WRC, ma il sogno del cassetto, che cova da tempo, lo ha lasciato trasparire in Sardegna, con orgoglio ostentato, nel tentativo di minare certezze e convinzioni di un piloti che, alle spalle, ha un bagaglio di motivazione difficilmente replicabile. Il cuore dei tifosi è il suo ossigeno.


Andreas Mikkelsen 7/8

Completa il weekend d’oro Andreas Mikkelsen, non quel genio spericolato dipinto negli ultimi anni, fra l’inconcludente e il barocco. Quell’immagine pittoresca, fatta di eccessi, si è volatilizzata, le ambizioni del norvegese ormai sono all’altezza dello spessore di pilota di punta che si è cucito addosso con risorse proprie: la vera emancipazione in Svezia è stata un toccasana, perché da quel momento ha inanellato prestazioni da farlo salire sui gradini più onorevoli e illustri, andando a ricomporre quel frammento di Scandinavia che fino allo scorso anno sembrava in preda allo smarrimento. Nella Power Stage vinta c’è tutto quell’orgoglio recuperato fra fatiche e il senso di un traguardo importante, una fine che garantisce un nuovo inizio, a partire da quella Polonia che il norvegese conosce, al punto da poter far fruttare, senza troppi preziosismi, quanto seminato. E sul fango polacco si può giocare una sfida a tre, tutta in famiglia.


Elfyn Evans 7

Poco incisivo, non molto mordente, ma concreto e pratico: il quinto posto di Evans è la perfetta sintesi fra due volti in totale contrapposizione, che mostrano tuttora come, di fatto, ci sia qualcosa di mancante, di assente nel britannico. Un tassello tipicamente giovanile, quello dell’estro e della creatività: è così che alla guida abbottonata e in parte perspicace si accosta una penuria di coraggio, una consistenza che esclude reciprocamente l’audacia. La scarsità di guizzi fa il resto: il quinto posto, paradossalmente, lo porta davanti a Neuville in classifica che, al suo debutto, poté vantare più ardimento. La piattezza dei risultati, che pure sono discreti, non hanno un antidoto efficace. Ma di fronte all’agguerrita concorrenza, il sedile già scotta…

Martin Prokop 6/7 e Henning Solberg 6+

L’uno brillante e opportunista, l’altro regolare e prudente. Come sempre, la fascia dei privati Ford è sempre amministrata da quel novero dei soliti noti, con il ceco che, assecondato dal favorevole contesto iniziale, avendo cioè una posizione di partenza ottimale, è stato insolitamente brioso. Un’effervescenza in seguito sfumata, poiché, come spesso accade, “i momenti di gloria” restano momenti, brevi frangenti caduchi. Il ritorno alla routine lascia poi emergere le scremature, al punto che Solberg è finito, mediante la sagacia di chi porta sulle spalle vent’anni di esperienza, ad appena un minuto da Prokop. Il ritorno alla mediocrità è quasi una legge di natura e per tale imprescindibile.

Robert Kubica 7

La “tregua con se stesso” è già finita, quella “pax dell’agire” che aveva condotto il polacco a rivalutare in modo drastico il proprio percorso nel WRC, ricostruendo tutto a ripartire dai numerosi errori compiuti durante la stagione. E la Sardegna, che costituì nel 2013 una delle punte di massimo valore della sua stagione, era il luogo giusto in cui intarsiare questo iter, più funesto di quanto previsto. E invece, dopo essersi egregiamente confrontato con i protagonisti di spicco del rally, ha rivissuto quella condizione contrastante e contradditoria, fra l’aver portato a termine una gara proficua e l’aver dilapidato un’occasione importante di affermarsi. Talento, fra l’altro, che si riconferma così, sregolato e, per così dire, sempre “asincrono”.

CLASSIFICA RITIRATI/RALLY2

Thierry Neuville 7-Juho Hanninen 6-Hayden Paddon 6
Hyundai 6/7

Il big spurt, cioè l’impennata della Hyundai, è qualcosa di straordinario per assoluta floridezza, potremmo definire la prima fase della gara “germinale”, il periodo del rinnovamento e della fioritura, che genera nuova linfa vitale. Ma il fenomeno Hyundai, che si muove in modo ambiguo, cresce, ma in più direzioni, è un’emulsione particolare, fra ripescaggi a metà fra il vincente e il deludente (Hanninen) e volti nuovi. E’ una Hyundai che cerca l’appoggio, il bastone di una generazione, per costruire su quella successiva. Il colpo di teatro nella prima giornata, dopo un monopolio tutto interno, è quanto di più tipico di questa squadra, fra errori marchiani e cedimenti della vettura intollerabili.
E’ un germogliare a sprazzi, in un prato come quello Hyundai, che a fine gara può arrivare a seccarsi, dopo aver rivelato il proprio manto verdeggiante. E i piloti, dal loro canto, specchiano questa squadra sull’ottovolante, fra alti e bassi, fra dolce e amaro.


Chris Meeke 5½

CLASSIFICA WRC2

Lorenzo Bertelli 9

L’Italia sportiva che vince, che non china il capo, lo alza e ha l’energia, nonché la forza, per portare lo sguardo verso mete lontane: un rinnovamento del vivaio nazionale hic et nunc è ormai l’imperativo categorico, improrogabile, per il quale Bertelli ha arato il terreno. La prova è sublime, l’ardimento con cui ha affrontato i rivali più blasonati motivo di irrobustimento, la spinta per osare di più, non solo sul piano individuale, ma anche collettivo. L’italiano può essere quel trascinatore, quel traghettatore verso una via di maggiore splendore, ma d’altronde dei segnali li aveva già lanciati Gamba nella vicina Francia: l’Italia del fare smonta stereotipi e stigmatizzazioni. Gli ostacoli, perlomeno psicologici, sono già stati superati.


Sébastian Chardonnet 7

Chi si interroga e chi, paradossalmente, si guarda attorno in assenza di nuove munizioni, è proprio quella Francia che fino ad ora ha capitalizzato tutta l’attenzione mediatica con il filone dei “Sébastiens”. C’è la trilogia dietro l’angolo, con Chardonnet che chiuderebbe il cerchio, una volta stabilito che Arzeno e Campana non sono affatto il futuro, bensì cartucce di riserva per la nazionale francese, se così possiamo chiamarla. E tuttavia, pilota riuscito o meno, sicuramente vincente nelle serie minori, nel salto di qualità ha chiaramente esitato, con una prova incerta, da temporeggiatore, poco chiara, priva di quella tagliente freddezza che hanno distinto i predecessori. Quasi a voler riassumere tutte le risorse in unico uomo, non è la performance idonea di chi si assume atout la navigazione in un campionato meritato, ma finora partito con uno slancio piuttosto fiacco. Per ora, però, sussiste il “fattore inesperienza”: cavillo o verità?


Yuriy Protasov 6½

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