Al di là di classifiche e risultati. Al di là dei vacui dogmi, frutto di un vecchiume cieco. Il motore degli scandinavi che riparte non ha nulla a che fare con quel passato, fatto di una gloria mai sbiadita e persistente. Assurdo infatti pensare che i ponti con quell’epoca d’oro non siano stati tagliati. Troppe leggende si sono disposte, come in una nube, attorno all’operato dei finlandesi volanti; si è finito per scaricare sulle nuove “munizioni” un’ingiusta pressione, la preziosa ma non per questo eterna eredità dei grandissimi del WRC.
Scalzati ben due scandinavi dal podio nel 2013, con Ostberg allora mestamente terzo a difendere i colori della Norvegia, un finlandese ritorna alla vittoria in casa, dopo ben quattro anni.
Si dirà, legittimamente, che ciò non basta. E’ vero, ma il valore degli emblemi, nel bene e nel male, ha un significato, ancor più per la Finlandia, prezioso. La mediocrità di un certo clientelismo serpeggiante, dubbio e discutibile, ha lasciato ancor più agonizzare quello che era il malato scandinavo. Togliendogli anche la speranza di lottare come self-made-man, con il solo serbatoio di savoir faire. Il rilancio può avvenire al cospetto di grandi contrasti.

Difficile non parlare, ad ogni modo, di emorragia di risultati quando il triangolo di nazioni con il bagaglio più ricco, da un punto di vista della tradizione, della cultura e del capitale umano che è ineguagliabile, perde perfino la forza di lottare con coraggio e orgoglio in casa. Le risorse giovanili, al massimo, si sono trasformate in prodotti semifiniti, in un mix di dispersione che si è rivelato letale. E la sostituzione della generazione del nuovo millennio, quella che, con Latvala, oggi ha provato a rialzarsi, fino ad ora è stata farraginosa, lenta e tutt’altro che coriacea.
Qualcuno ha provato a infilarsi. Ma senza successo, semplicemente perché oggi c’è una platea molto più vasta e agguerrita. E il tentativo di sparare, evidentemente con quel senso di superiorità propria di chi ha instaurato una tradizione “dura a morire”, più cartucce in poco tempo, ha anche eroso la dimensione “tracotante” della scuola finlandese, ancor prima che scandinava. Fino, appunto, a farla perire nella sua stessa terra.

L’approccio, certo, è cambiato. Ma ci sono distorsioni, più che attuali, che non è certo facile reputare normali o comunque fisiologiche per coloro che ogni anno avviano una nuova stagione sportiva all’insegna di ristrettezze. E avremmo, con sincerità e franchezza, per il bene del rally, ancor prima delle specificità nazionali, apprezzato un impegno diverso da parte di Ari Vatanen nel definire un concetto di “bene”, che forse collima per il campione finlandese con un significato differente da quello più comune. Giuste le pari opportunità, sì, ma anche nei fatti: la facilità con cui il figlio Max Vatanen è approdato nelle serie minori di punta lascia quantomeno perplessi. E indipendentemente dai meriti (o demeriti) i simboli sono importanti, hanno un peso altissimo che non si può trascurare. Una forma soft di nepotismo, se così la possiamo chiamare, che sia vera o falsa, può essere anche percepita erroneamente. Ma i sensi, nel sistema mediatico, prevalgono. E guai a sottovalutarli.

Ci sono, insomma, treni che possono deragliare, ma anche obiettivi che si possono centrare in quella che è una pesante rifondazione. Ciò che resta, è un compito difficile: non raccogliere un’eredità, ma partire da una tabula rasa. E nel contesto attuale, la cautela è d’obbligo; il modello one-man team, per così dire, è ciò che rimane alla Scandinavia del futuro: da Tidemand a Mikkelsen, passando per il promettente Lappi. Ha rischiato, la Finlandia, di bere una cicuta: la svolta in casa, intrapresa da Latvala, serve per ridare ossigeno, morale e speranza anche ai più “piccoli”, come Immonen e Suninen, ma anche per ridare lustro a una tradizione che sinora ha alimentato i talenti, anche quelli più acerbi, che si sono messi in gioco alla luce del sole, nella piena consapevolezza della parabola discendente scandinava. Iniziata la coagulazione, verrà il momento di reagire. Con la stessa fantasia di Latvala, il quale, nelle ombre delle sue prestazioni, è l’unico capace di infiammare il suo pubblico. E se il titolo è una chimera, si potrà comunque dirà, a novembre, che finalmente qualcosa si è mosso. Nella giusta direzione.

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