Ingiusta, iniqua, indegna di uno sport illustre che ha sempre fatto della veracità la sua punta di orgoglio. La penalità assegnata a Kris Meeke è, se vogliamo, solo un piccolo ma fosco tassello di una storia recente ben più luminosa. Che non può vedere nella stagione attuale un canto del cigno in vista di un futuro prossimo sempre meno nitido, nonché privo di quella trasparenza di cui avrebbe bisogno un motorsport del futuro, pensato per entusiasmare con alcune rinunce. Quanti, troppi parallelismi con altri campionati della FIA: dalla Formula E alla Formula 1. L’ultimo triennio non deve solo fare da cerniera con l’era elettrica che ha la vocazione del protagonismo, ma non la popolarità adeguata. E nemmeno il giusto supporto. C’è ancora un WRC da ridisegnare, da riprogettare, perché la logica del contentino è ormai superata. E non basta. La sfida a proposito dell’alimentazione delle vetture è la punta dell’iceberg di problemi ben più strutturali. Che, non a caso, vengono schivati con singolare maestria.

LA PENALITA’ DELLA DISCORDIA: UN CORTO CIRCUITO?

Tutto è iniziato, come noto ai più, durante la SS10: quel taglio della discordia –le immagini non tradiscono- non voluto, non cercato con tanto eccesso, frutto originariamente di una modifica alla curva, peraltro molto stretta, consistente nell’aggiunta di piccoli ostacoli, nel post-ricognizioni. L’errore sarebbe costato a Meeke, in caso di una scelta differente, un sottosterzo probabilmente letale per la sua prestazioni fatta di coraggio, orgoglio e anche un pizzico di malizia. E allora ci si deve chiedere se è l’astuzia, l’interpretazione, la lettura aggressiva di una gara su cui la FIA vuole porre un restrittore, una censura vera e propria. Proprio quel che l’appassionato, genuino, ama con semplicità. L’unico ingrediente sempreverde di uno sport di cui è del resto uno specchio. Fatto, dunque, di emozioni franche, spontanee. Ed è forse ancora più grave il fatto che il regolamento, che sembra rievocare le grida manzoniane, sia davvero poco chiaro. Il corto circuito della FIA e dei suoi commissari (ricordiamo che il collegio è composto da due stewards locali, ma anche dall’ex campione Timo Rautiainen, che è permanente) va proprio ricercato nel suo quieto vivere di una stabile instabilità. Allontanandosi dagli appassionati più puri, che fanno difficoltà a comprendere modifiche degne del peggior scribacchinismo. Fiumi di inchiostro sversati per contenziosi squisitamente cavillistici. Un’ubriacatura tecnocratica, insomma, che non piace. E non importa, a tal proposito, che Citroen abbia accettato la decisione degli stewards. Il problema è di fondo, non di interpretazione.

LIBERTA’ DI GUIDA E NORME…MANZONIANE

Kris Meeke in Australia ha firmato una prestazione dal valore analogo, se non superiore, alle performances di Germania e Finlandia. Il talento non è fresco di scoperta, anzi, ma è rimasto sempre un oggetto misterioso, oscuro, che solo una squadra in ristrutturazione poteva valorizzare in modo appropriato. Lasciando la cosiddetta “carta bianca” al pilota britannico.
I grafici seguenti mostrano, anche attraverso la linea di tendenza lineare, quanto fosse contenuto il gap nelle prime sei prove della prima tornata. Nelle prove spettacolo brevi, poi, è emersa la superiorità tecnica della Polo, che risponde bene ai trasferimenti di carico, senza coricarsi troppo e generando un grip meccanico nettamente egemone sulle vetture avversarie. Nelle restanti due giornate, però, Meeke ha continuato a mantenere un passo molto aggressivo, tenace, contenendo al massimo un gap inevitabile, considerando che il ritmo delle VW è rimasto tirato per tutta la gara.

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Anche fuori dalla pista, però, il pilota della Citroen si è rivelato un galantuomo, ammettendo la violazione (evidente) del regolamento, in particolar modo l’articolo 14, comma 2, con rara sincerità. Anche perché la lettura dei due bollettini rilasciati fra Polonia e Australia, denotano un rigore chiaro e netto. Precisi nella forma, meno nella sostanza. Perché una giustizia arbitraria, fra l’altro orale, va accettata nei suoi difetti (sarebbe stato vano un ricorso), rispettata dove possibile, ma non può essere condivisa. Di mezzo ci sono i commissari locali, che vantano metodi differenti. All’apice, però, ci sono le direttive FIA scevre di equità, che castrano letteralmente il repertorio di piloti in piena fioritura e ne compromettono le doti: si partiva da quella giusta norma che costringeva i drivers a partire secondo l’ordine di classifica iridata, appiattendo parzialmente monologhi di cui il WRC è, d’altro canto, stanco. E’ un vero è proprio cappio quello stretto al collo di Meeke (e non solo): l’esercizio libero di una professione ad alto contenuto di competitività, viene così sostanzialmente depauperato. Rischiando di trasformare un prezioso diamante in una pirite e di conseguenza convertendo dei piloti a dei semplici prezzolati.

QUEI PERICOLOSI PARALLELISMI CON LA FORMULA 1

E’ un problema comune a tutti i campionati principali della Federazione: il tentativo di coniugare innovazione, ricerca e spettacolo (veritiero) è stato sincero, ma ha avuto effetti sostanzialmente nefasti. Si parte, lo ricordiamo, da una situazione già abbastanza negativa: i dietrologi hanno fatto un’opera di mistificazione in parte eccessiva, a proposito dell’ultimo ciclo Red Bull in Formula 1. Nihil admirari, non c’è da stupirsi, suggeriva Orazio. Il coacervo di retroscenismo non sarebbe scoppiato senza gli errori marchiani compiuti dalla FIA nell’indirizzare, in modo inevitabile, un corso tecnico che era e resterà sempre molto delicato. In questo caso, però, il problema, pur rimanendo legato al regolamento, era di tipo sportivo e non tecnico. E sia WRC che F1 soffrono di dilemmi di fondo irrisolti, sull’impronta da dare sotto tutti i profili ad ogni ciclo che si realizza. La penalità che ha colpito Meeke, infatti, va inserito in un contesto più ampio: le regole vanno cambiate, ma in un’ottica di deregulation. Evitando, ovviamente, di farlo nell’intervallo fra il primo e il secondo tempo del gioco, con una metafora calcistica. Liberalizzare il regolamento è un imperativo che viene da lontano, da tempi non sospetti e che si rivelerà inevitabile. Per non ripetere l’esperienza disastrosa, ricca di inconvenienti, vissuta con la Formula 1. La tripletta VW non diventi l’ennesima occasione per incensare il vincitore di turno, perché la pagina di sport australiana ha le luci di un evento combattuto e le ombre della ghigliottina dei commissari. E vista la qualità del dibattito nella commissione, in prospettiva 2017, c’è da chiedersi se la formula-show non verrà incollata anche in una categoria che è capace di generare spettacolo allo stato selvatico, qual è il WRC. Inutile avere un’offerta aggregata, come la definirebbe un’economista, se la domanda è debole. In altre parole, sarebbe di scarso successo potenziare un prodotto televisivo se l’interesse reale suscitato è scarso.
Crogiolarsi nel restante refolo di vita e passione della serie è un’opera assai pericolosa; nessuno, case in prima fila, vuole lanciare un sasso nello stagno della commissione. Al pasticcio della shootout stage, si è preferito l’immobilismo. Ancora una volta.

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