La sesta tappa non è un tornante della Dakar, non è la famosa tappa decisiva, quella sarà semmai la tappa marathon, che inizierà domani per le auto. Quel che è certo, è che da un lato Kamaz ha ormai abbattuto tutte gli scampoli di resistenza, mentre Mini, con Al Attiyah, ha assestato un duro colpo al “fronte due ruote motrici”, che teoricamente aveva dalla propria la seconda parte della Dakar.

Fra le moto, si assiste ad una tappa transitoria, in cui Coma e Barreda Bort hanno lasciato “sfogare” i gregari prima della tappa marathon di Domenica: la classifica rimane “rigida”, ma aperta ad una maggiore elasticità nei prossimi giorni: quei due minuti guadagnati da Bort (Honda) su Coma (KTM), che in totale fanno dodici, sono un tesoretto invidiabile, che di fatto solo un errore di navigazione o una rottura (non improbabile) durante la marathon può disperdere. Oggi vince Rodrigues, uno dei portatori d’acqua della Honda, che tuttavia ha dovuto lottare a lungo con l’uomo della Dakar 2015 –lo eleggiamo subito noi- e sicuramente il rookie più significativo di tutto l’evento, Toby Price su KTM standard. Comunque vada a finire, anche perché Walkner ha già bruciato le sue ambizioni perdendosi ad inizio tappa. L’australiano Price riceverà dalla KTM anche sospensioni “ufficiali” ed avrà nel mirino senza dubbio il podio. A sorridere anche Goncalves, terzo di tappa e terzo assoluto, a soli diciassette minuti dalla vetta, mentre Quintanilla e Svitko continuano a mostrare prestazioni in crescendo: dalla quarta all’ottava posizione scorrono appena dieci minuti. Con un novero così interessante di privati nella top ten, la caccia al terzo posto –apertissima- partirà con gran clamore domenica, anche perché in vista del 2016, KTM potrebbe…dare strada ai grandi talenti emersi quest’anno.
In miglioramento Alessandro Botturi, che risale in tredicesima posizione assoluta e nella seconda parte della prova si rende protagonista di una rimonta con parziali da top five: a mancare, finora, è stata la continuità. E resterà una Dakar agrodolce, fra le mille peripezie di tutte le Yamaha e la consapevolezza di essere diventato l’uomo di punta della squadra. Lontano, ad ogni modo, dalle ambizioni di vittoria. Come sempre, la Dakar è un filo sottile fra sogno e incubo.

Lo sa bene Peterhansel –di certo non partito con garanzie di successo- ma che per il secondo giorno di fila ha rinunciato a conquistare una tappa, questa volta per problemi meccanici. Ormai sono ben due le ore che lo distanziano da Al Attiyah: Peugeot è arrivata alla Dakar con un grande potenziale –un progetto affascinante e rischioso- ma sicuramente poco affidabile. Chi se la ride è proprio il qatariota di Mini, che pur affermando di aver temporeggiato, ha staccato De Villiers, ennesimo ed unico rivale del team X Raid, di appena trentasette secondi. Terzo Roma e quarto un Gordon redivivo, a poco più di un minuto e mezzo. Più lontano Al Rajhi, debuttante e noto pilota del WRC2, che conserva tuttavia la terza piazza con un altro Toyota. E’ la più chiara testimonianza di come Toyota, quest’anno, pur con un mezzo pienamente convenzionale e lineare, abbia portato un mezzo potente ma anche molto guidabile e versatile nei settori misti. Un quinto Terranova inizia a raccogliere i cocci di un’altra e brutta, imbarazzante disfatta. Il passo per vincere ce l’aveva, ma manca ancora il piglio della maturità, che dopo anni di Purgatorio si è risvegliato in Al Attiyah.

Si è parlato di offensive e di piccole manovre di disturbo, ma gli unici a muoversi su larga scala sono i Kamaz: tutti sapevano, già un anno fa, che “l’antipapa” sarebbe stato il team Iveco Petronas, o per meglio dire Gerard De Rooy stesso. Si sapeva anche che senza il duetto De Rooy-Stacey tutta la gara si sarebbe esaurita ad un evento corale e melodico dei russi: così è stato. Nella giornata di oggi, infatti, vince Eduard Nikolaev –la punta su cui aveva scommesso Chagin- e finalmente scoppia una stella che mai aveva troppo convinto pubblico e addetti ai lavori. Infilando il terzo successo consecutivo. Lo seguono l’altro “junior” Mardeev e il vincitore in carica Karginov, ancora un po’ in sordina quest’anno e De Rooy stesso, che in classifica è lontano ben otto ore dal vertice. Neutralizzati, nella pratica, gli ultimi avversari: Loprais perde oggi un’ora, mentre Stacey, per la verità non quello dei tempi migliori, segna un magro ottavo posto. Si completa così una fila di quattro Kamaz nell’assoluta con Sotnikov a chiuderla, mentre quinto è il bielorusso Viazovich.

E mentre Al Attiyah e Nikolaev –i veri protagonisti per convinzione e lungimiranza- si interrogano sulle ultime pedine da muovere per centrare lo scacco, inizia a circolare, fra i bisbigli di un paddock ammantato dalle sventure del mito della Dakar, l’ipotesi di un’edizione 2016 “del Pacifico”: un percorso Colombia-Perù-Cile che rivoluzionerebbe nuovamente un prodotto che è stato limato, leccato, rintagliato. Noi non ci crediamo: il legame creato con il territorio è troppo stretto. E si finirebbe per ritornare in quei territori che sembravano aver chiuso la propria storia con la carovana gestita da ASO. Esplorando, tutti d’un sorso, i rischi di uno stravolgimento non necessario e non richiesto…

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