La Dakar più “profana” di sempre è pronta per partire fra pochi giorni. E già da domani, iniziano le verifiche tecniche a Tecnopolis, la città scienza di Buenos Aires. Al netto della solita retorica, il rally raid più famoso di sempre ha ancora qualcosa da raccontare.


Nota n°1: Dakar 2016, ovvero “io speriamo che me la cavo”

Dopo l’edizione del 2015, il giocattolo Dakar è parso un disco rotto. Esaurito l’esprit di Castera (che navigherà Cyril Despres), serviva qualcosa di nuovo. E invece è crollata tutta la struttura: il Perù ha dato il suo addio -squallidamente demagogico-, portandosi dietro gran parte delle tappe a prevalenza di fondo sabbioso. Rimediato il flop, messe le pezze ad un’edizione in cui tutta la preparazione è andata storta ed il roadbook è stato rivoltato in un mese, non poteva che dar vita ad un percorso mutilato, limitato, non dakariano. E’ emerso invece un prodotto equilibrato, con molte più dune di quante ne fossero attese ed una discreta scrematura sin dall’inizio. Senza dimenticare la marathon stage, dopo quattro tappe, a 4000m di altitudine, in Bolivia. Nessuno sa esattamente cosa aspettarsi –come da protocollo- ma di sicuro non sarà un finale da sprint, come quest’anno. E nessuno vuole ripetere l’arrischiata (e temibile) edizione 2014: endurance nudo e puro non se ne fa più. Allora sì, va bene una Dakar veloce, ma ripetere lo spirito originario non è semplicemente più possibile. Tanto più in una gara ad alta densità di amatori. E’ una gara che strizza l’occhio ai rallisti del WRC, ma non rinuncia a metterli in difficoltà. Ma la sopravvivenza, per ora, è già abbastanza.

Nota n°2, De Rooy, il nuovo stridente squadrone e le dissonanze cognitive

Ormai lo sappiamo, fra leggende, orgoglio –ma pure un po’ di austeniano pregiudizio- e frantumate ragioni, i De Rooy &co hanno dovuto capitolare ai sensati motivi della competizione. Abbandonando quell’autocompiacimento che è sempre un po’ tipico delle storie di successo familiari. E poi ci sono le dissonanze cognitive: il desiderio di vincere, certo, è sempre individuale. Ma nessuna categoria è stata tanto votata al sacrificio e alla collaborazione come quella dei camion. E questo sicuramente ha indebolito la posizione di chi non faceva veramente parte del team, quelli “a tempo determinato”. C’è stato un gap evidente fra dire e fare in passato: sarà compito di De Rooy risolvere la contraddizione. Villagra e Loprais entrano a far parte del team, ma come sapientemente ha ricordato in un’intervista a rally.it Giorgio Albiero, di per sé questo non significa nulla. Tanto più se sono piloti “paganti” (e così è, in effetti), l’ambizione è tutt’altro che appiattita. Far convivere tre assi non è facile e il riassetto della squadra, pur avendo spostato il baricentro, non è detto che vada a migliorare le cose. In questo, i russi di Kamaz, hanno tanto da insegnare: partono loro con i galloni dei favoriti, ma l’elenco iscritti è disseminato di ottimi candidati al successo, non ultimo Hans Stacey su MAN, giunto probabilmente all’ultima Dakar della vita.

Nota n°3: Non è una Dakar…per vecchi?

Fra i tanti fatti e misfatti che si riproducono durante una simile manifestazione, non poteva mancare il filone che racconta la Dakar con la retorica ex cathedra –in verità un po’ vetusta- della gara fasulla, inautentica, svuotata della sua essenza. Ma le cose non stanno esattamente così. Il pubblico vero –mica quello televisivo- è assolutamente diverso da quello africano, che per evidenti ragioni, era “spiritualmente” lontano da quel mondo. I paradigmi, ogni tanto, bisogna pure radicalmente cambiarli. E così dovrà essere anche per il Sudamerica, che già dal 2017 dovrà tornare a guardarsi attorno (è difficile, non c’è dubbio). La prospettiva di un rally raid ridimensionato, dalla California verso il Sudamerica, è l’indiscrezione del momento: ipotesi credibile, vista anche la svolta drastica che Marc Coma è intenzionato a dare alla Dakar. E soprattutto apprezzabile, giusta, sensata.

Certamente curiosa è la correlazione fra iscritti provenienti dal WRC e le novità del percorso di quest’anno. Non si parla d’altro ed è inevitabile: è l’antidoto per una gara troppo vituperata. Stimolerà la curiosità di chi l’aveva persa, riavvicinerà chi si era stancato e –perché no- sarà la pulce dell’orecchio di chi dei rally raid si è sempre disinteressato.

Qualcun altro non vi si riconosce più e ha definitivamente chiuso. Ma certamente qui non giungiamo alle stesse conclusioni del celebre romanzo di McCarthy: sono ancora tanti, molto più dei rallisti, i dakariani dalla scorza dura.
Il più facile da ricordare –sempre lui- è Peterhansel, il più emblematico Yoshimasa Sugawara, che a settantacinque anni non ha perso la voglia di correre.

Non sono pochi i nomi brillanti e lustrati dal WRC che hanno deciso all’ultimo momento: ne citiamo due, Pons e Prokop, i cui risultati, dal lato opposto, non rappresentano il meglio sul mercato. Ma la Dakar consente di riciclarsi, di far affiorare doti ben differenti.

Lo ha detto Mikko Hirvonen stesso, infatti, che infilarsi nelle pieghe di un roadbook richiede molta intuizione e poche qualità tecniche. E’ una bilancia, un equilibrio molto dinamico. Che dipende dalla qualità dei percorsi, non c’è dubbio. Non si può fare a meno di un ottimo navigatore, ma vincere al primo tentativo è quasi impensabile.

Anche se la Dakar è cambiata, e spiccatamente quest’anno, ciò non implica che alcuni piloti potranno realizzare “il botto”, nemmeno i più poliedrici, come Loeb. Il francese non rinuncerà di certo a ritentare, ad agguantare almeno un trofeo: ci sono risorse e tempo ad abundantiam. Ma proprio quest’anno, no, non è possibile.


Nota n°4: Chi ha paura delle due ruote motrici?

Ne abbiamo parlato tanto, forse troppo. Se ne discute in lungo e in largo, in molti privati hanno tentato la mossa (senza grandi risultati), dal 2013 in poi. L’ultima vittoria con un buggy risale al 2000-2001 con il controverso e discussissimo Schlesser. Ma la cose sono cambiate, e non di poco.

A partire dalle basi: non è propriamente un buggy il 2WD che proverà ad agguantare il successo. Di Peugeot, come detto, si sa tutto: vettura rivista da cima a fondo, con importanti spese viste le (evidentissime) modifiche di telaio. Non molto è dato sapere sul motore, che comunque rimane assolutamente vicino a quello realizzato per la gara dell’anno scorso. Sul quartetto (quintetto se ci aggiungiamo il privato Dumas) arcinoto, non si possono fare annotazioni, si presenta da solo, anche se nessuno sarebbe capace di nascondere che la vera punta è da cercare in Peterhansel. Andrà all’attacco anche Sainz per il successo finale, ma i numerosi ritiri ed incidenti nelle ultime edizioni stuzzicano (leciti) dubbi e perplessità.

E gli altri?
Ci sarà, iscrittosi all’ultimo momento, Guerlain Chicherit con il buggy “sperimentale” che dovrebbe aprire la strada al modello 2WD della X-Raid, la quale a sua volta dovrebbe proseguire la partnership con la casa bavarese. L’anno scorso la gara fu avara di risultati, mentre per il 2016 si attendono successi di tappa. L’affidabilità, invece, pare tuttora incerta.

Nota n°5: E gli italiani? Pochi, ma…

…Sarà, in ogni caso, un’annata fra le peggiori: nessun iscritto fra i camion, molti piloti fra amatori e semi-professionisti e solo un iscritto (realisticamente) capace di lottare per il podio nella categoria moto, Alessandro Botturi.
In realtà le occasioni ci sono tutte: la WR450F ha sempre mostrato ottimi livelli di competitività, la preparazione è eccellente e così via. Alle spalle restano le delusioni dell’ultimo anno, fra prestazioni e affidabilità alquanto traballanti.
Interessante è il team di Marco Piana, italo-francese (iscritto con licenza francese), che ha affidato i suoi Polaris (veicoli di piccola taglia, con massa davvero ridotta) a ben quattro equipaggi diversi, fra i quali il gentleman driver Amos e il sempreverde Cinotto, con ambizioni per una top 40. Ci saranno anche Giampaolo Bedin sulle auto, che correrà da solo, e Stefano Marrini.
Di rilievo la presenza di Liparoti, Carignani e Picco (con storici risultati sulle moto negli anni ottanta e novanta), con ambizioni per una top 15.

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