Elisabetta Caracciolo blogger e ideatrice di WorldRallyRaid.com, con ventisei edizioni della Dakar alle spalle, racconta a ruota libera la sua idea di Dakar e -soprattutto – cosa sarà la Dakar del 2017. Lasciando presagire che non sarà una marcia solitaria della Peugeot e che anzi ci sarà spazio per molti piloti in una Dakar più “dakariana” e meno tecnica di quella dell’anno passato.

2017, nuovo regolamento (ritoccato), nuovi challengers fra i due ruote motrici (Toyota), nuovo percorso. E’ tabula rasa o si riparte dal dominio Peugeot?

“Diciamo che è tabula rasa in realtà, sono cambiate diverse cose e comunque il predominio dei due ruote motrici, Peugeot inclusa, non è affatto scontato, anche se secondo me la loro nuova vettura è davvero eccezionale. È vero che Peterhansel partirà con il numero 300, ma quest’anno Toyota ha una potenza di fuoco senza precedenti”.

Ma davvero è il momento di un nuovo ciclo Peugeot alla Dakar? L’ultimo dominio targato PSA, quello Citroen, annientò la concorrenza…

“No, non credo affatto. Penso che la loro intenzione sia quella di vincere quest’anno, proseguire (forse) il prossimo e poi di ritirarsi alla fine del 2018. Hanno già dimostrato di poter annientare i rivali e l’uscita della 3008 Dkr non deve ingannare, non è un segnale di allungamento del progetto; si è detto piuttosto che servirà a qualcos’altro. Le loro ambizioni sono già rivolte verso altre discipline (ndr, Bruno Famin non ha smentito recentemente un’opzione Le Mans)”.

Al Attiyah ha dimostrato nel Cross Country di avere le credenziali giuste –anche su quattro ruote motrici- per battere la Casa del Leone, riuscendo nel tentativo prima alla Baja Aragon e poi in Marocco. L’altitudine girerà i valori in campo a totale beneficio di Peugeot?

“Difficile rispondere a questa domanda! Sicuramente l’altitudine influenzerà i valori in campo, per tutti, non necessariamente a beneficio di Peugeot, che ha fatto gli ultimi test in Cile, mentre Toyota ha continuato a provare in casa, in Sudafrica. È in ogni caso una partita aperta, tutta da giocare, ricordando piuttosto che la sfida è nell’alimentazione, diesel vs benzina”.

Il terzo incomodo nella Dakar 2017 è certamente il team Mini X-Raid, che è in fase di ristrutturazione. Il 2017 sarà un anno di transizione?

“Dire che il team Mini X Raid sia il terzo incomodo mi fa sorridere! Loro sono tuttora i numeri uno, non c’è assolutamente nulla da ristrutturare, vettura compresa. I tedeschi vanno avanti con Mini perché la vettura va benissimo, è ben rodata e non verrà assolutamente abbandonata. Si parla (ancora ad un livello preliminare, ndr) di un nuovo motore di provenienza americana per i prossimi anni. In ogni caso, non sarà assolutamente un anno di transizione, perché il loro obiettivo è vincere nel 2017. Gli inerventi eseguiti sul nuovo modello hanno riguardato la scocca, le sospensioni e il sistema di raffreddamento, ma sotto l’auto è più meno la stessa da tre anni”.

Esiste sul tavolo di Quandt l’opzione 2WD –come si è detto- magari con BMW, per il 2018. E dopo il “divorzio” con Chicherit, cosa resta di quel progetto portato avanti con J.Kleinschmidt?

“No, l’opzione due ruote motrici non esiste al momento: lo sviluppo del veicolo è purtroppo completamente fermo, nonostante i progressi fatti negli ultimi mesi nei test con Jutta Kleinschmidt. Sven Quandt mi ha confessato che non hanno neppure potuto portare il muletto della due ruote motrici alla Dakar in quanto -avendo otto Mini in gara- avrebbe assorbito un numero di meccanici eccessivo, poiché la vettura, al ritorno al bivacco, avrebbe necessitato di interventi pesanti”.

Per parecchio tempo Peterhansel è stato vincitore della Dakar sub judice. Fu opportuna la manovra dei tedeschi di X Raid, o un tentativo grossolano di rincalzo fuori prova speciale?

“Si, è stata certamente una manovra disperata, nella quale penso che la stessa Mini non ci credesse particolarmente. La possibilità di una squalifica non ci è mai stata veramente. Nella discussione FIA la Mini si è presentata solo formalmente: ho sempre sostenuto in questo senso la correttezza di Peterhansel nell’episodio: ne è scaturita piuttosto una vicenda triste”.

Veniamo agli italiani: si rimpolpa la lista degli iscritti, specie fra i camion. E, com’è noto, gli unici portatori di velleità di classifica sono Alessandro Botturi e Jacopo Cerutti. Ma c’è davvero spazio in una lista di pretendenti al podio così ricca?

“Finalmente! Non limiterei però la lista dei motorbikers da classifica ai due citati, ci aggiungerei anche Luca Manca (privato KTM,ndr) che nel 2010, prima di ritirarsi, era sesto assoluto al debutto. Dopo il lungo recupero, durato sei anni, a seguito dell’incidente, penso possa puntare ad una posizione nei primi dieci. Se è vero -come dicono- che sarà una Dakar molto dura, si verrà allora fuori alla lunga: nonostante la lista di pretendenti, ci sarà spazio anche per i nostri”.

Ogni anno, ciclicamente, si ripropone la sfida De Rooy-Kamaz, ma quest’anno un posto per Van den Brink pare si sia creato, viste le brillanti prestazioni della stagione 2016…

“Sì, sicuramente la sfida è De Rooy vs Kamaz e ci sarà parecchio spazio anche per Van den Brink, anche se penso che il vero outsider sia Loprais, che quest’anno dispone di un signor Tatra (in coppia con Kolomy,ndr): potrà fare sicuramente molto bene, è veloce nonostante sia stato sempre molto sfortunato. Ritornando alla sfida Kamaz-De Rooy, se da un lato è stato estratto tutto dall’Iveco Powerstar, dall’altro -se verrà confermato il percorso “trialistico”- Kamaz fatichera’ molto nei sorpassi, non dimenticando che l’anno scorso la meccanica dei veicoli russi si è dimostrata piuttosto vulnerabile”.

Ma manca una progettualità alla Dakar? La sensazione è che i regolamenti vengano calati dall’alto, andando a colpire disordinatamente i costruttori, o quantomeno causandone i malumori…

“La domanda mette in evidenza un quesito che ci poniamo da parecchi anni: dire che i regolamenti siano calati dall’alto è un eufemismo, perché la sensazione è che chi elabora i regolamenti non abbia molto a che fare con questa gara. In realtà, poiché la Dakar non è una gara FIA, ASO non solo fa i regolamenti in casa, ma li gestisce, conscia di tenere un asso nella manica: se vuoi farti conoscere, non puoi non fare la Dakar, che è pur sempre la Dakar. Ciò ha sempre causato malumori, ma qualcosa sta cambiando, la FIA ne è al corrente e si potrebbe andare verso un cambiamento nel 2018”.

Coma ha parlato di Dakar sudamericana “più dura di sempre”. Ma a lei piace il nuovo indirizzo scelto dallo spagnolo? Castera, dal canto suo, ha ricevuto critiche -talvolta gratuite- dopo l’edizione 2014…

“È vero, anche se si è detto lo stesso l’anno scorso, anche se poi -non uso mezzo termini- il percorso è risultato raccapricciante. L’indirizzo sarà da vedere, nel 2016 Marc non ha potuto fare quasi nulla e di fatto il percorso è stato assemblato dall’organizzatore, in aperto contrasto con lo spagnolo. Quest’anno gli è stato dato più spazio e sembra che sia riuscito ad elaborare il percorso nel modo in cui a lui piace, staremo a vedere. Castera è stato criticato dal primo giorno nonostante fosse bravissimo quale direttore, facendo da capro espiatorio per colpe che non erano sue. Sotto questo profilo anche Coma riceverà critiche, tanto non puoi fare tutti contenti. Aspettiamo di vedere cosa accadrà intanto nell’edizione 2017…”

Non sono pochi a dire che –in fin dei conti- non si può estrarre di più dal Sudamerica. E la soluzione sarebbe il ritorno in Africa…

“Se si ritornasse in Perù come si dice da anni, se si andasse in Colombia o in Ecuador come si propone da quattro anni, se si esplorassero nuove terre, ci sarebbe molto ancora da estrarre. Vedremo cosa si è riuscito a fare quest’anno con la Bolivia ed il Paraguay, dove ci sono percorsi duri, complicati e parecchia “roba” inedita. In Africa non ci si tornerà mai: la Dakar, come il Tour De France, è un grande business di ASO; pertanto, la tappa che ospita la Dakar paga e questo non avverrà di certo in Nord Africa, ma semmai in Sudafrica, l’unica nazione disponibile a riaccogliere la Dakar sul continente africano”.

La solita dicotomia è Africa o Sudamerica, ma da quest’anno si è aperto un varco interessante in Asia con il rinnovato Silk Way Rally. Che impressione le ha fatto la prima edizione?

“Non penso che ASO sia interessata a fare un ritorno in Asia: il problema è dato dalla trattativa con i cinesi, con i quali a suo tempo è entrato in conflitto Rene Metge, che ha abbandonato il campo dopo pochi anni per la “ristrettezza di vedute” dei locali. Conosco il loro modus operandi dai tempi della Parigi-Mosca-Pechino 1992 e posso confermare che ASO non riproverà a sbarcare in Asia. Nel 2008, tanto per fare un esempio, al Transorientale ci tennero “prigionieri” al bivacco: non credo sia un atteggiamento proprio di chi vuole porre le condizioni per un ritorno di ASO”.

Foto: Massimo di Trapani (su gentile concessione di Elisabetta Caracciolo)

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