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Nissan: quando sui rally splendeva il Sunny

Prologo

Riprendiamo con la nostra serie “Storia dei marchi rallystici” con una casa, che si potrebbe definire quasi strana. Infatti non ha spiccato particolarmente, se non per un paio di piccole vetture che sono rimaste impresse, attorno agli anni ’90.

240RS, Sunny, Pulsar…Vi dicono qualcosa? Stiamo parlando proprio di Nissan. Se vogliamo essere precisi la prima di queste faceva parte del Gruppo B, ma approfondiremo più avanti. Sicuramente molti di voi ricorderanno cinque o sei delle vetture che sono state trasformate in bolidi da rally, ma in realtà sono ben undici; partendo dal più vecchio Gruppo 4, fino ad arrivare al Gruppo A di metà anni ’90. Ma andiamo con ordine, e vediamo velocemente da dove nasce questa parte dell’automobilismo giapponese.

E’ necessario fare un po’ di chiarezza, del perchè alcuni modelli siano marchiati Datsun mentre altri con il più famoso e recente Nissan. La prima era una casa automobilistica giapponese che nacque nel 1931, ma che venne acquistata da Nissan soltanto tre anni dopo, nel 1934. Tuttavia l’utilizzo del marchio rimase, e lo troviamo nei modelli Nissan fino al 1986 dove venne abbandonato, e lasciato spazio al marchio odierno. Non a caso i due stemmi sono praticamente identici, cambiando solo la parola centrale; rimase così la classica sfera rossa (simboleggiante il bel paese del sol levante) e una striscia blu centrale che mette in evidenza proprio il marchio. La casa di Yokohama sicuramente è ben più famosa per modelli come la Skyline, la serie Z e i suoi fuoristrada. Tutt’ora fa parte del gruppo Renault.

Facciamo così un tuffo nel passato, per rivivere i vecchi momenti e rispolverare vecchie tecniche di meccanica, allora molto innovative.

Datsun 240Z

Foto di Davide Donelli

La Datsun 240Z si può definire come la prima vera e propria sportiva di casa Nissan. La sua linea ricorda, grazie agli spunti stilistici, la sempre affascinante Jaguar E-Type e Ferrari 250 GTO. Gli elementi di queste due vetture si posso ritrovare sul lungo cofano e la linea complessiva della vettura. Nel 1969 venne lanciata sul mercato, con un modesto sei cilindri in linea, che erogava 150 cavalli. La particolarità di questo motore era la sua provenienza, infatti derivava dalla Datsun 510. Tuttavia quest’ultima, come saprete, era dotata di soli motori a quattro cilindri, e tecnici di Yokohama aggiunsero due cilindri, riuscendo così ad ottenere 2.4L con un singolo albero a camme (SOHC). Il sistema sospensivo era di tipo MacPherson all’anteriore, mentre al posteriore si adottò per le sospensioni indipendenti. Per arrestare tutti i 1068 Kg si poteva fare affidamento su due dischi anteriore e i più classici tamburi sul posteriore.

Data la sua indole sportiva venne perciò derivata una versione da Rally. In verità le versioni sono due;

Carburatore Mikuni PHH

La prima che venne omologata fu la 240Z Gruppo 4.

Il motore rimase lo stesso della versione stradale. Tuttavia la potenza, e non solo, venne aumentata: si passò dai 150 cavalli standard ai 200/225 in base alla configurazione. Il sistema di alimentazione era dotato di tre carburatori Mikuni 44 PHH a doppio corpo.

Spaccato del sistema sospensivo posteriore

 

Tuttavia vennero usati anche carburatori italiani, come i Dellorto DCOE. Il sistema sospensivo venne leggermente modificato e aggiornato; il MacPherson venne mantenuto sull’anteriore, abbinandolo a ammortizzatori telescopici a gas che vennero utilizzati anche al posteriore. Su quest’ultimo troviamo un montante di tipo Chapman con molle elicoidali. Naturalmente la barra anti-rollio era presente su entrambi i sistemi. La seconda versione fu omologata nel 1974, ed era denominata 260Z. Facile intuire la natura del suo nome; infatti la vettura ebbe un upgrade del motore, aumentandolo di cilindrata da 2.4L fino a 2.6L, con conseguente aumento di potenza. Successivamente venne presentata anche la 280Z, con un possente 2.8L. Tuttavia le vetture sotto la carrozzeria non subirono sostanziali modifiche.

Al volante di questa sei cilindri vediamo Rauno Altonen, ed Edgar Herrmann, i quali riuscirono a trionfare nel 1971 e 1973 al Safari Rally.

Datsun Bluebird 1600 SSS

Facciamo un piccolo passo indietro fino ad arrivare al 1967. In quell’anno venne presentata quella che sarà una delle prime più famose Datsun negli Stati Uniti. Chiamata 510, era una piccola utilitaria che sostituiva la precedente 410, con cui condivideva alcune parti sotto la carrozzeria. La vettura si poteva acquistare in ben quattro versioni: sedan a tre o cinque porte, station wagon e coupè (quest’ultima sarà introdotta nel 1968). La scelta dei motori non era molto ampia. Si poteva contare su un piccolo 1.3L e un più grande 1.6L. Entrambi venivano alimentati da un singolo carburatore, mentre la versione più sportiva, la SSS, era alimentata da un doppio carburatore. L’acronimo SSS, le venne dato per un semplice motivo. Inizialmente doveva denominarsi “1600 SS”, tuttavia Chevrolet aveva già utilizzato quell’acronimo, per marchiare i propri modelli come “Super Sport”. Per evitare equivoci, Nissan decise di aggiungere una S all’abbreviazione.

Come si può ben capire dalla foto qui sopra venne estrapolata una versione per i rally. Naturalmente si utilizzò come base la 1600 SSS, per poi modificarla per le dure prove speciali. Il motore della serie L16 venne dotato di due carburatori più grossi, ovvero dei Solex 44PHH (gli stessi della 240Z). Grazie a tale aggiunta, il motore poteva vantare una potenza di 130 cavalli.

Sempre Edgar Hermann, nel 1970, vinse il Safari Rally. Fu una fantastica doppietta, in quanto al secondo posto si piazzò l’altra Bluebird di Singh. Ci fu una piccola evoluzione di questa vettura tutto pepe per allora; nel 1971 venne omologata la versione 1800 SSS. Vantava un L18, che poté così dare maggiore potenza sulle ruote posteriori. Tuttavia era già in attività la 240Z, ed essendo un “semplice” Gruppo 2 i risultati non furono brillanti come la sorella più piccola. Tuttavia Kallstrom concluse secondo al Safari 1972, mentre Aaltonen centrò un sesto posto al Safari 1974.

Datsun 710 (140J/160J)

La Datsun 710, o comunemente chiamata Violet, venne introdotta sul mercato nel 1973. Questa vettura presentava innovazioni sia in campo stilistico, sia in campo meccanico. I motori disponibili furono tanti e le variazioni per i vari paesi di esportazione, altrettante. Infatti in quel periodo si iniziavano ad intravedere le prime norme anti inquinamento, in qui le case si cimentavano per rendere le proprie auto più “verdi” ma con una notevole ripercussione sulle prestazioni. Inizialmente la più potente, o meglio il modello di punta della 710, era la 1600 SSS-E. Sviluppava circa 110 cavalli, accoppiati ad un sistema di iniezione; per i modelli d’esportazione la potenza scendeva a 95 cavalli, con un sistema di alimentazione a doppio carburatore. Il sistema sospensivo non si distaccava molto dalle sue antenate, mantenendo il vecchio ponte rigido al posteriore e optando per un semplice sistema MacPherson all’anteriore. Dopo il più piccolo 1.6L, arrivò ad accompagnarlo un più grosso 1.8L, facente parte sempre della serie L. Per l’esportazione venne introdotto un massiccio 2.0L, che non produceva più di 95 cavalli ed era destinato al mercato americano, dove le norme anti-inquinamento stavano dettando legge. Ricordiamo che i motori di questa serie sono a singolo albero a camme (SOHC), e faccio questa piccola precisazione per quello che andremo a vedere più tardi.

Safari Rally 1978

Passando al lato stilistico, la Datsun 710 presentava un nuovo canone chiamato “stile a bottiglia di Coca Cola”. Infatti guardando la vettura di profilo, le linee guida della carrozzeria ricordano la forma del vetro, della famosa bibita. Ovviamente questo traeva giovamento dal punto di vista dell’aerodinamica, e non solo estetico. Infatti il carico aerodinamico era tale da permettere ai tecnici di non appesantire la vettura con appendici.

Ma ora facciamo un salto di due anni. La 240Z era appieno della sua attività nel Gruppo 4, ma fu affiancata da una nuova ruggente fastback. Trazione posteriore come voleva la tradizione, peso ridotto, motore aspirato e cavalleria sbraitante. La 710 fu dotata di una nuova testa in occasione dell’iscrizione al Gruppo 4. Diventò così un 1.8L twin-cam. Infatti il motore utilizzato non era più della serie L, ma bensì LZ.

Questa serie di motori venne denominata LZ in quanto la testata era completamente nuova e utilizzata principalmente per le corse. Infatti disponeva di due alberi a camme e 16 valvole.

Il 1800 cc della Violet venne “pompato”; in gergo venne “bore-up”. Di fatto la cilindrata precisa era di 1991 cc. I cavalli prodotti erano 200, ottenuti ad un regime di 7200 giri, ma il piccolo twin-cam poteva spingersi oltre la soglia degli 8200 giri.

Nel 1980, precisamente il 1° gennaio, venne omologata, sempre per il Gruppo 4 una versione rinnovata. La GT, così venne chiamata, fu dotata di un nuovo motore e interessanti modifiche alla ciclistica. Il più piccolo 1.8L venne sostituito, e lasciato spazio all’LZ20B. Come spiegato qui sopra, questo motore poteva vantare due alberi a camme in testa, 16 valvole, ma una cilindrata di 2.0L. I cavalli fermentarono fino a 230, con alcune configurazioni tuttavia si scendeva a 215. L’alimentazione era regolata da due carburatori doppio corpo Weber 48 DCOE, con la piccola variante dei Solex da due millimetri più grossi. Il sistema sospensivo venne aggiornato ma non sostituito radicalmente; all’anteriore il MacPherson venne dotato di un braccio trasversale, con ammortizzatori telescopici a gas e molle elicoidali. Al posteriore il ponte rigido venne dotato di due bracci radiali, barra Panhard, ammortizzatori a gas e molle elicoidali.

La barra Panhard fu un invenzione del ventesimo secolo, utilizzate appunto sulle Panhard. La sua funzione

Posizionamento della barra Panhard in un asse posteriore.

è quella di limitare i movimenti laterali della vettura durante la marcia, vista la presenza di molle elicoidali che non hanno una rigidità sufficiente. Infatti conferisce stabilità maggiore all’auto.

Al volante di questa Datsun, anche se per un solo due anni: Aaltonen, Salonen e Pond.

 

Nissan 240RS

Shekhar Mehta al 21° Acropolis Rally

Ci addentriamo così ai cruciali anni ’80. Probabilmente il punto di svolta del mondo rallystico mondiale. La Datsun, o meglio, la Nissan ormai stava lentamente abbandonando il marchio rilevato ormai più di quarant’anni fa, lasciando spazio al proprio. Nel 1979 si vide nascere così una terza generazione di Silvia, denominata B110. E’ facile fare confusione in quanto in diversi paesi veniva chiamata in modi diversi. In europa è conosciuta come 180SX, mentre in Giappone semplicemente Datsun Silvia. Da non confondere tuttavia con la Nissan Gazzelle, che era la versione hatchback della Silvia.

Un fatto curioso riguarda il telaio e i motori; infatti inizialmente lo chassis era in condivisione con la Mazda Cosmo. Si optava inizialmente per un motore rotativo Wankel, ma dopo diverse disquisizioni si optò per rimanere sui classici pistoni. A tal proposito sorgeva un problema: non c’era sufficiente spazio. Così si optò per il telaio serie-A che equipaggiava la Bluebird. Così i tecnici di Yokohama diedero ampio spazio di scelta ai motori, potendo contare da un più piccolo Z18ET fino ad un Z22E. La particolarità del primo risiedeva nelle nuove tecnologie: oltre al fatto di utilizzare una testata della serie Z, che fino all’anno prima veniva usata solo per le vetture da competizione, vantava un turbocompressore e l’iniezione elettronica. Prima dell’introduzione del 2.2L aspirato, era presente fino al 1982 un più piccolo 2.0L.

Arriviamo così alla parte calda: nel 1983 Nissan decise di prendere parte al Campionato Mondiale Rally tra le Gruppo B. Come prevedeva il regolamento, necessitavano un minimo di duecento vetture stradali per l’omologazione alle corse. Nacque così la Nissan 240RS.

La serie FJ era caratterizzata da solo due motorizzazioni: 2.0L e 2.4L. La testata era in alluminio, catena di distribuzione (al posto della classica cinghia) e blocco motore in ferro. In Giappone venne commercializzata anche una versione turbo. La testata verrà poi condivisa con la futura serie RB.

La vettura era spinta, come facilmente intuibile, da un motore 2.4L, che erogava la potenza di 237 cavalli sulle ruote posteriori. La serie del motore non era più Z, ma bensì la più aggiornata FJ. Presenti due alberi a camme (DOHC) e 16 valvole con un peso totale di 970 chili.

Sorprendentemente la versione rally non ebbe modifiche sostanziali: infatti la potenza rimase tra i 240 e 250 cavalli. Mentre tutto il gruppo termico rimaneva invariato, la ciclistica veniva leggermente modificata. All’anteriore rimane il sistema McPherson con ammortizzatori a gas, mentre al posteriore si optava per un sistema multi-link, abbinandolo ad ammortizzatori a gas e molle elicoidali. Nel 1985 entra in gioco l’evoluzione della 240RS. Venne aumentato il rapporto di compressione e aumentato di quattro gradi l’inclinazione delle camme. Risultato, una potenza di 277 cavalli. i risultati non furono brillanti, ma al volante troviamo Salonen, Pond, Mehta e Kirkland.

Nissan Micra

Siamo arrivati così a metà degli anni ’80. Il Gruppo B era agli sgoccioli, infatti si era già pre annunciato che dalla fine del campionato 1986 ci sarebbero stati grossi cambiamenti. Come ben sappiamo tutti verranno istituiti nuove classi, come il Gruppo A.

La Nissan, dopo le disavventure avvenute con la 240RS aveva deciso di ritirarsi definitivamente dai rally. Tuttavia la rivedremo ricomparire l’anno successivo nelle mani della NISMO, me è una storia che vedremo più avanti. I team “satellite” ebbero l’ arduo compito di far proseguire il prestigioso marchio di Yokohama tra le piccole.

La Nissan Micra, o March per il mercato interno Giapponese, era una piccola utilitaria nata per competere con la Honda City. Nacque nel 1982, riconoscibile per la sigla K10 (che denominava la prima serie), e non da confondere con il classico acronimo rallystico che caratterizzava le vetture Kit-Car. Come ogni utilitaria che si rispetti possedeva piccoli motori, dotati di una piccola potenza per consumi ragguardevoli. Tuttavia, dall’anno successivo, ovvero il 1983, venne presentata una versione sportiva. La Micra Super Turbo era dotata di un motore MA10ET di 900cc, turbocompresso.

La serie MA Nissan è caratterizzata dalla compattezza dei motori; infatti si passa dal più piccolo 0.9L fino al 1.2L. Tutti i propulsori sono dotati di 8 valvole, e un singolo albero a camme in testa (SOHC).

Erogava soltanto 110 cavalli, ma abbinati ai 675 chili di peso, poteva raggiungere una velocità massima di 180 km/h e un’accelerazione da 0-100 in soli 7,5 secondi. Per il tempo un’utilitaria così veloce era incredibile.

Passarono gli anni, e un piccolo team privato decise di portare il marchio Nissan di nuovo tra le prove speciali. Nel 1987 vedremo la comparsa della Micra K10 Super Turbo Gruppo A. Per la precisione venne iscritta tra le A6, ovviamente in base alle specifiche tecniche. La vettura rimase prettamente originale, ottenendo soltanto una piccola lavorazione alla testa, che permise un aumento della cilindrata da 960cc a 988cc. Il turbo era un Hitachi HT-07B, che lavorava ad una pressione di 1 bar. Il suo diametro era di 42mm e l’alimentazione era regolata da un sistema di iniezione elettronica Bosch L-Jetronic. Le sospensioni avevano sempre il sistema MacPherson all’anteriore abbinato ad ammortizzatori a gas. Leggermente differente il posteriore; con un assale rigido, un braccio rigido e uno oscillante, ammortizzatori a gas e la classica barra antirollio sia all’avantreno che al retrotreno.

Nonostante questa vettura sia rimasta nel dimenticatoio, ricordiamo alla guida Per Eklund, insieme al Nakamura nel team Clarion Car Audio.

Due anni dopo avvenne l’evoluzione: arrivò nel Gruppo A la Micra EK10 Super Turbo. La parte più importante che fu modificata fu il motore. Infatti si utilizzò la mentalità del down-sizing: venne utilizzato un MA09ERT, ovvero un semplce 900cc, che all’effettivo contava una cubatura di 930 centimetri cubici. La potenza salì, grazie anche al lavoro svolto sul turbo. Quest’ultimo venne sostituito installando sempre un Hitaci, tuttavia un più grande HT-10, con un diametro di 47mm. La potenza lievitò fino a 130 cavalli, fino ad un massimo di 160. Il resto della vettura rimase invariato lasciando sempre la stessa logica di ciclistica. Per Eklund utilizzò la vettura da metà fino alla fine del campionato. Clarion non continuò il programma Gruppo A, così troviamo piloti sporadici fino al 1992.

Ci catapultiamo così fino al 1997. Chi sa cosa successe in quell’anno? Venne istituito un nuovo gruppo: quello delle Kit-Car.

Nel marzo 1997 venne presentata la Micra K11 Kit-Car. Il motore era un GC13DE con doppio albero a camme in testa (DOHC), da 1.3L, che erogava 155 cavalli. L’aspirazione era di tipo naturale, mentre l’alimentazione era regolata da un sistema di iniezione elettronica multipoint, con otto iniettori. Con un cambio sequenziale a sei rapporti, e quattro dischi freno autoventilati, la vettura pesava complessivamente 790 chili. Tra i piloti 1997, vediamo Mark Higgins e Masahiro Takasaki.

Nissan Sunny e Almera Kit-Car

Compaiono nella storia della Nissan, altre due Kit-Car insieme alla Micra K11 analizzata poco fa. Entrambe nate nel 1997, ovvero l’annata della comparsa della categoria Kit, l’Almera N15 e Sunny N14. Ho deciso di inglobare queste due vetture in un unico paragrafo, dato che le informazioni a riguardo della prima non sono molte.

Ma partiamo proprio dal Sunny. Come vedremo più tardi fu protagonista, e attirò gli sguardi su di se, partecipando al Gruppo A. Ma questa è un’altra storia che vedremo più tardi. la “soleggiante” piccola di casa Nissan, nella sua configurazione Kit, poteva contare su un motore 2.0L, esattamente un SR20DE.

Per chi ne mastica anche di drift, questo motore dovrebbe fargli rizzare le antenne. Infatti era un motore usato, nella sua variante turbo (SR20DET), nelle competizione, ed uno dei motori preferiti dagli amatori insieme alla serie RB.

Con un rapporto di compressione di 12:1, questo duemila aspirato poteva vantare la potenza di 265 cavalli, per un peso totale che oscillava tra i 950 e 1000 chili. Tutto il blocco motore e la testa erano in alluminio, dove in quest’ultima risiedevano due alberi a camme (DOHC). L’alimentazione era regolata da un sistema di iniezione elettronica multipoint Pectel T6. La trazione era sulle ruote anteriore, mentre il cambio era un sequenziale a sei rapporti x-track. Per il sistema sospensivo si optò per lo stesso che montava la Micra, ma con una leggera modifica; infatti al posteriore introdussero il MacPherson, ma sempre con 2+2 bracci.

L’Almera montava esattamente lo stesso motore, ma la potenza spaziava da 274 a 300 cavalli. A dir la verità era uguali in tutto e per tutto, infatti sotto alla carrozzeria il sistema sospensivo a ruote indipendenti MacPherson, il cambio sequenziale a sei marce e il differenziale autobloccante sono speculari.

A governare queste hatchback urlanti ci pensava Mark Higgins, che portava queste veloci giapponesi in giro per la Gran Bretagna verso la fine degli anni ’90.

Nissan Silvia 200SX

Abbiamo visto come dopo l’abbandono del Gruppo B nel 1986, Nissan cercò di tirare indietro i remi, lasciando così in mano a Clarion l’ardua sfida della Micra. Tuttavia la NISMO, credeva ancora nel progetto Nissan. Così sfornò una fiammante Silvia 200SX nel 1987, pronta per il Gruppo A (A8, per intenderci tra Delta e Escort). Tutt’ora vediamo ancora il marchio NISMO sulle vetture Nissan, indicandone l’estremizzazione del modello standard.

Ma torniamo nei rally. La 200SX era equipaggiata da un 3.0L, aspirato capace di una potenza di 230 cavalli sulle ruote posteriori, divenuti poi 250 negli anni successivi. La serie di questo motore era completamente diversa da quelle che abbiamo visto fino ad ora: infatti si parla di un VG30E.

La serie VG, nata nel 1983, ha accompagnato diversi modelli Nissan fino al 2004. Le cilindrate spaziavano dai 2.0L ai 3.3L, tutti esclusivamente con sei cilindri a V.

 

 

 

 

Dotato di due alberi a camme in testa, e solo due valvole per cilindro (per un totale di dodici), la 200SX manteneva un regime di giri modesto, infatti sviluppava la sua potenza massima intorno ai 7000 g/min. Il sistema di iniezione elettronica era della Bosch, del tipo L-Jetronic. Ricordiamo che siamo tornati al 1987, quindi il sistema sospensivo era caratterizzato dal MacPherson anteriore a ruote indipendenti, e dal ponte posteriore con bracci semi-oscillanti.

La vettura colleziono buoni risultati con alla guida Metha, Kirkland, Zanussi e Eklund. Al Safari 1988 chiusero il podio al secondo e terzo posto, le 200SX di Eklund e Kirkland. L’anno successivo lo svedese centrò il podio con un secondo posto, mentre Kirkland abbandonò la corsa per aver rotto il cambio.

Nissan Sunny GTi-R

La serie Sunny era già presente sul mercato bensì dal 1978. Tuttavia nel motorsport, in particolare nei rally, spiccò ad inizio anni ’90.

Teniamo a precisare che il nome Sunny venne utilizzato per il mercato europeo, mentre per quello interno mantenne il nome di Pulsar.

Come il regolamento insegna, era necessario produrre una vettura stradale per poterla omologare nel Gruppo A.

Venne presentata così la GTi-R. Già presente sul mercato la GTi, la prima vantava migliorie decisamente importanti ed interessanti. Partendo dal motore: venne utilizzato l’SR20DE, tuttavia dotato di turbo, perciò divenne il famoso SR20DET. Grazie a questa aggiunta la vettura stradale poteva vantare 230 cavalli, su tutte e quattro le ruote.

Già nella sua versione “da persone comuni”, questa piccola vettura aveva le carte in regola per infastidire auto ben più grandi. La base da cui si iniziò a lavorare per produrre un bolide da rally, fu proprio questa. L’SR20DET ha un incredibile potenziale; infatti in determinate configurazioni si possono raggiungere potenze nell’ordine dei 700-800 cavalli. In questo caso la potenza lievitò fino a 300 cavalli, con un rapporto di compressione pari a 8.5:0. Naturalmente non possono mancare i due alberi a camme in testa (DOHC), insieme alle quattro valvole per cilindro. Il turbo compressore era un Garrett TB2804, capace di lavorare ad una pressione di 1.7 bar. L’iniezione era di tipo elettronico, Bosch L-Jetronic, con l’abbinata di candele in platino per l’accensione. Per il cambio si optò per derivarlo dall’Almera, (e comunque già presente sul Sunny Kit-Car) con un X-Track a sei rapporti sequenziali. Il sistema sospensivo, come accennato nel paragrafo precedente, era dotato di un MacPherson sia all’anteriore che al posteriore. In quest’ultimo sempre presenti l’abbinata dei bracci semi-oscillanti (2+1) con ammortizzatori telescopici a gas e barra antirollio.

Nel 1993 venne introdotta una nuova versione: la GTi N14. Di fatto l’unica variazione dalla GTi-R fu il motore. Venne mantenuto il 2.0L, senza il turbo. Perciò la potenza scese a 225 cavalli, con un rapporto di compressione aumentato a 12:1. Tuttavia in questo modo, rientrava tra le A7 e non più A8.

Tra i piloti di questa piccoletta vediamo Stig Blonqvist, Kirkland, Makinen e Chatriot. Inoltre l’impegno ufficiale di NME (Nissan Motorsport Europe) fu soltanto saltuario e per le stagioni 1991-1992, 1996. Le altre fino allo scadere dell’omologazione della vettura nel 2000 furono in mano ai privati.

Nissan 350Z

L’ultima delle Nissan che possiamo definire da rally. Iscritta alla classe RGT, tuttavia non riscosse molto successo. Grazie alla sua potenza di 313 cavalli, prodotti dal V6  (nel 2007) rientrava nel Gruppo 1. Tuttavia la versione precedente (2004), visti i 294 cavalli, rientrava nella classe inferiore. Il regolamento prevede sistemi sospensivi di serie, mentre gli ammortizzatori possono essere sostituiti a patto che siano compatibili con gli originali. In sostanza gran parte della vettura è di serie. Essendo molto pesante non riusciva a stare al passo con gli avversarsi. Purtroppo non ci sono grandi informazioni a riguardo su questa vettura e questo è tutto ciò  che possiamo raccogliere sulla versione RGT.

Siamo arrivati alla fine di questo cammino, attraverso le varie annate e i modelli della casa di Yokohama. Sarà pressochè impossibile rivedere questo marchio in mezzo alle prove speciali, visti gli altri impegni presi. Ma è giusto ricordare che, un pezzo di storia, è grazie anche questi grandi giapponesi illustri con le loro innovazioni.