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Mazda in mezzo alla Savanna dei rally

PROLOGO

Dopo aver visto le gesta di Nissan nel mondo dei rally, ripercorriamo, seppur breve, la storia di un’altra casa giapponese: la Mazda. Molti conosceranno questo marchio per i suoi non-ordinari motori. In effetti c’è una filosofia dietro tutto ciò, e che scopriremo nei paragrafi seguenti.

Ciò che conosciamo con il nome di Mazda oggi, veniva conosciuto dal mondo per la prima volta ad Hiroshima nel 1920 con il nome di Toyo Cork Kogyo Co. L’anno successivo subentrò come presidente il Sig. Matsuda, il quale sei anni dopo cambiò il nome della neonata casa in Toyo Kogyo Co. Il primo mezzo a motore prodotto fu un motocarro, messo in commercio nel 1931, con il nome di Mazdago; fino al 1936 tutti i prodotti sfornati da Hiroshima sono venduti nella rete Mitsubishi, e pertanto marchiati con il logo di quest’ultima. Il nome Mazda arrivò poco dopo, e la sua origine è piuttosto particolare. Grazie ad un’assonanza con il cognome del presidente, Matsuda, l’utilizzo di tale marchio deriva dalla divinità dello zoroastrismo Ahura Mazda. Letteralmente significa “Spirito che crea con il proprio pensiero”, ed è da qui che tutta la produzione si ispira al pensiero contro-tendente se non innovativo.

Inoltre la fabbrica di Hiroshima ebbe un ruolo cruciale durante la guerra: infatti dopo lo sgancio della bomba atomica, lo stabilimento si salvò, grazie al suo posizionamento dietro ad un promontorio. I danni furono minimi, perciò venne utilizzato come centro per le operazioni di soccorso e fu l’epicentro per la ripresa della città.

Tutt’oggi lo slogan di Mazda è: “Defy Convention” ovvero “Sfida alle Convenzioni”.

Procediamo allora a ripercorrere questi pazzi giapponesi anti-conformisti nel loro cammino, attraverso il mondo dei rally.

MAZDA RX3

Non abbiamo molte notizie a riguardo, tuttavia abbiamo la certezza di una versione destinata al Gruppo 2, nella seconda metà degli anni settanta.

La RX-3 era dotata di un motore rotativo Wankel a due rotori, con una cilindrata complessiva di 1.1L. L’alimentazione era curata da un sistema di carburatori Nippon, mentre l’aspirazione era di tipo naturale. La potenza sviluppata dalla versione stradale era di 105 cv, mentre la versione destinata ai rally fu potenziata fino a 148 cv. Il sistema sospensivo era nettamente classico per il tempo: MacPherson all’anteriore, mentre al posteriore un semplice assale con molle a balestra semiellittiche. La barra antirollio era presente soltanto all’avantreno.

Il cambio a quattro marce, combinato agli 884 chili della vettura, le permettevano di raggiungere una velocità di 175 km/h. Mentre per arrestarsi poteva fare affidamento su freni a disco anteriori abbinati a pinze a doppio pistoncino, e al posteriore i più semplici tamburi.

Le informazioni finiscono qui; effettivamente, non è una vettura che ha spiccato notevolmente dato che non fu un impegno ufficiale da parte di Mazda. Se avete qualsiasi informazione a riguardo siamo ben lieti ad aggiornare questo paragrafo.

MAZDA RX7

 

Foto di Marco Bonini

Probabilmente una delle vetture più famose della casa degli usi non convenzionali. Mazda iniziò a produrre la prima RX-7 nel 1978, con canoni ovviamente molto “anni 70” ma non per quello che c’era sotto il cofano. Infatti fu progettata per competere con le sportive connazionali, ma soprattutto con quelle europee. La prima versione denominata FB, produceva 105 cavalli dai due rotori montati anteriormente. I canoni stilistici erano chiaramente degli anni ’70, con la classica linea a cofano allungato (richiamante le avversarie di allora) insieme alle classiche cromature del tempo. Con l’avvento degli anni ’80 la vettura ebbe alcuni cambiamenti, sia all’estetica, sia alla meccanica. Infatti nel 1981 la potenza crebbe di dieci cavalli, mentre vennero leggermente modificati i paraurti e le modanature laterali. Vennero implementati i freni a disco su tutte e quattro le ruote, mentre le sospensioni anteriori vennero leggermente modificate. Quattro anni dopo venne effettuato un ulteriore restyling, ma più profondo stavolta. I motori rotativi disponibili erano in due varianti: una aspirata e l’altra turbo-compressa. La prima di queste sviluppava una potenza superiore di 31 cavalli rispetto alla versione del 1981, mentre la variante turbo-compressa poteva vantare una potenza di 182 cavalli.

All’alba degli anni ’90 arrivò la seconda serie della RX-7. La FC, questo il suo acronimo, iniziò la sua produzione nel 1989, ma rimase ben poco nella catena di montaggio di Hiroshima; infatti la sua produzione cessò nel 1991. Oltre alle modifiche estetiche (dove veniva eliminata la parte serpeggiante posteriore, per lasciare spazio a una coda tronca) vi fu un incremento di prestazioni, ma niente più. Il propulsore aspirato iniziò a produrre 160 cavalli, mentre quello turbo-compresso lievitò fino ai 200.

Alla fine della FC, vide la luce la terza generazione: la FD. La più amata, e quella che è rimasta più impressa nell’immaginario collettivo. La sua linea, per essere stata concepita agli albori degli anni ’90, è molto attuale con linee tondeggianti e la caratteristica coda con fanali collegati. La cosa più affascinante di questa terza generazione è sicuramente l’aspetto tecnico. La vettura fu equipaggiata con un motore sempre rotativo a due rotori, per l’esattezza un Wankel 13B REW.

Il 13B REW rientra nella famiglia dei rotativi biturbo. Come spiegato qui sotto, questo propulsore vantava due turbo operanti in sincronia. Tuttavia non è da confondere con il 13B RE, il quale era molto simile al primo ma con piccole differenze. Infatti i due turbo montati erano di grandezza differente. L’ REW divenne famoso per la sua particolare propensione a produrre tanti cavalli, mantenendo sempre un peso contenuto.

I due turbo montati erano degli Hitachi HT12, che permettevano di sviluppare una potenza di 239 cavalli per la versione europea, mentre quella giapponese erano circa 280. E’ corretto dire circa, in quanto per legge le vetture giapponesi dovevano avere una potenza limitata, tuttavia la RX7 si dice vantasse più di 300 cavalli nella sua configurazione originale. La scelta per questi due turbo compressori non è a caso: infatti un diametro più elevato avrebbe garantito potenza agli alti regimi, mentre un diametro più piccolo avrebbe scatenato l’effetto contrario. Per tale motivo i tecnici di Hiroshima studiarono un sistema, che prevedeva l’utilizzo alternato dei turbo-compressori. Ai bassi regimi soltanto uno dei due Hitachi forniva la pressione a 0.7 bar, già dai 1800 giri/min. Arrivato a 4000 giri/min, il primo turbo, in gergo, “murava”; così subentrava in parallelo il secondo, garantendo un’altra spinta di 0.7 bar, facendo così giungere i giri fino a limitatore senza problemi, rilasciando potenza in modo lineare per tutta la durata dell’accelerazione. Venne definito uno schema, ovvero 10-8-10: infatti 10 psi corrispondono a 0.7 bar, cioè la pressione di esercizio. Al momento del subentro del secondo turbo vi era un piccolo calo di pressione, appunto di soli 2 psi. Concettualmente era un’idea semplice, ma molto complessa da realizzare. Per di più la manutenzione non era affatto semplice, e se effettuata erroneamente portava a grossi guai.

Il sistema di iniezione fu studiato dalla Bosch, fornendo un MAP L-Jetronic. Si distingueva dalla presenza di due iniettori, con dimensioni differenti, per ogni rotore.

MAP = Manifold Absolute Pressure

Per quanto riguarda il sistema sospensivo, la RX7 poteva contare su ammortizzatori telescopici, abbinati a molle elicoidale sia al posteriore sia all’anteriore. Entrando nello specifico all’avantreno la vettura era dotata di doppi bracci triangolari sovrapposti, mentre al retrotreno vantava un sistema multilink. Le prestazioni erano di tutto rispetto: 5.5 secondi per raggiungere i 100 km/h mentre la velocità massima era di 250 km/h.

Foto di Marco Bonini

Ma arriviamo al punto caldo: vennero omologate ufficialmente due versioni da rally. Una destinata per il Gruppo 2, mentre la seconda per il Gruppo B. La prima montava il classico birotore 12A RE, con una potenza di circa 174 cavalli. L’aspirazione era naturale, mentre il sistema di iniezione elettronica garantiva un regolare flusso di benzina attraverso i quattro iniettori. Il sistema sospensivo era prettamente di serie, con un McPherson all’anteriore e al posteriore un semplice assale.

Nel 1984 venne sguinzagliata la versione destinata al Gruppo B. Riconoscibile per le appendici aerodinamiche aggiuntive, era seguita da team ufficiale europeo, MRTE (Mazda Rally Team Europe). Il motore venne sostituito, montando un più performante 13B RESI.

Il 13B RESI era il birotore, ad aspirazione naturale, ma con un collettore di aspirazione maggiorato.

RESI = Rotary Engine Super Ignition.

Senza un turbocompressore, la vettura era comunque capace di sviluppare 300 cavalli, tutti da scaricare sulle ruote posteriori. Il sistema sospensivo non ebbe grossi cambiamenti, all’infuori di una apposita barra duomi regolabile e nuovi ammortizzatori Bilstein. Il peso complessivo era di 960 kg.

Purtroppo l’RX7 ebbe vita breve nel modo dei rally, ma fece in tempo a collezionare un eccezionale 3° posto all’Acropolis Rally 1985. Prima dell’abolizione del Gruppo B nel 1986, la Mazda era già all’opera su una nuova RX7, con base FC, per il Gruppo S entrante. La nuova arma per un gruppo estremo che non vide mai la luce, fu pronta verso la metà del 1986. Si vocifera che di queste Mazda ne siano state prodotte soltanto due. La potenza sviluppata era di 450 cavalli, da un motore Wankel a tre rotori, esattamente un 13B G3. La trazione venne modificata, optando per una integrale; tuttavia la tecnica di quest’ultima è ancora sconosciuta. Il sistema sospensivo venne integrato con doppio ammortizzatore, mentre il motore venne posizionato in posizione semi-centrale per una migliore distribuzione dei pesi.

MAZDA 323

Conosciuta in Giappone come Familia, fu una piccola utilitaria prodotta dalla Mazda a partire dalla fine degli anni ’70. In quel periodo moltissimi costruttori, iniziavano a produrre vetture accessibili, con bassi costi di mantenimento. Tuttavia sappiamo che gli stessi, con queste “scatolette”, iniziavano il proprio percorso nei rally. Mazda non fu da meno. Già con la 4^ generazione, il MRTE si cimentò per le prove speciali del mondo. Le 323 omologate furono svariate, partendo dal Production, passando per il Gruppo N e infine, dove ebbe più successo, il Gruppo A.

L’impegno ufficiale in quest’ultimo gruppo avvenne nel 1984, con l’iscrizione della 323 BD Turbo. In effetti già due anni prima era presente una 323 in gara, ma non era seguita dalla squadra ufficiale. Quel primo ingresso fu un banco di prova per l’auto; la derivazione dalla versione stradale era netta. Il motore era un 1.5L, con un induzione forzata data da un turbo IHI VJ1. Il singolo albero a camme in testa era accompagnato da otto valvole complessive. Il sistema di alimentazione era regolato da un semplice sistema di iniezione elettronica multi-point.

Nessun risultato rilevante fu raggiunto, tuttavia nel 1986 arrivò l’artiglieria pesante. Il vecchio B5T fu mandato in pensione, lasciando spazio ad un più grande B6T. La trazione divenne integrale, rendendo la vettura più competitiva. Il 1.6L, nella sua configurazione originale scaricava a terra 150 cavalli; tuttavia in questa versione allestita per il rally poteva sfogare tra i 240 e 250 cavalli. Un aiuto era dato anche dai 52 millimetri di diametro del turbo IHI RHB52, che lavorava ad una pressione compresa tra gli 0.9 e i 1.1 bar. A differenza del motore precedente, le valvole raddoppiarono, diventando sedici mentre la testa venne dotata di un secondo albero a camme (DOHC).

Il sistema sospensivo fu rivoluzionato completamente, rispetto la versione stradale. Il McPherson fu utilizzato sia all’anteriore sia al posteriore; all’avantreno vennero inseriti ammortizzatori a gas Bilstein, così come al retrotreno, ma in quest’ultimo si optò per un TTL.

TTL = Twin-Trapezoidal Link

L’ammortizzatore era completato con due trapezi, uno superiore e uno inferiore, formati da due bracci longitudinali.

La barra antirollio era presente in entrambi i lati, ed era regolabile.  Il sistema frenante era a dischi ventilati su tutte e quattro le ruote; le pinze anteriori facevano affidamento a quattro pistoncini, mentre quelle posteriori soltanto due a causa del disco più piccolo. La massa complessiva della vettura ( in base alla sua configurazione) spaziava da 1050 a 1120 kg.

Nel 1990, con l’arrivo della 5^ generazione della 323, ci furono importanti cambiamenti anche nella sua versione rally. Ancora una volta il motore venne sostituito: sempre della serie B, ma tuttavia un BPT. 1.8L era la cubatura del propulsore, che era alimentato da un sistema di iniezione elettronica L-Jetronic. L’aria introdotta nel motore era spinta a gran forza da un’evoluzione di quello precedente, ovvero un IHI RHB5 VJ20. Venne applicato, per regolamento, una flangia di 38 mm. In questa configurazione la potenza crebbe, fino a 280 cavalli. La particolarità era che solo corsa ed alesaggio aumentarono, mentre il rapporto di compressione rimase lo stesso. Nessuna modifica invece al sistema sospensivo, mentre il cambio venne dotato di una variante X-Trak a sei rapporti. L’impianto frenante fu maggiorato, mentre il peso della vettura calò di 100 kg.

Ci trasferiamo nel 1993. L’arma finale. L’ultima evoluzione della vettura, prima della sua definita messa in casa di riposo. Ancora un volta venne sostituito il motore. Venne equipaggiata con un BPD.

Il BPD era una evoluzione del BP. Infatti viene denominato anche BP1. E’ noto per il suo grande turbo installato, oltre alla maggiore potenza fornita che si aggirava sui 180 cavalli.

La testa con il doppio albero a camme, già in alluminio, venne ulteriormente lavorata in abbinata a valvole leggermente più grandi. Il turbo, come scritto qui a fianco, venne sostituito con un IHI RHF6 VJ23 con un diametro di 62 mm. La pressione di esercizio era 1.2 bar, così da ricavare una potenza di 300 cavalli su tutte e quattro le ruote. Il resto della vettura rimase invariato, fedele al modello precedente.

Per questa piccoletta passarono nomi davvero importanti per il rally mondiale. Timo Salonen, Harri Toivonen, Hannu Mikkola, Ingvar Carlsson, Philippe Wanbergue e Gregoire De Mevius. Il potenziale di questa vettura era palpabile, così come i piloti che la lanciavano a folli velocità in mezzo agli alberi. Come Hyundai ha deciso di rimettersi in gioco, nonostante il flop dell’Accent a inizio anni ’00, anche Mazda potrebbe rilanciarsi in ciò. La loro filosofia rimane sempre la stessa, considerando che nel 2019 verrà prodotta l’erede della Rx-7, sempre con motore rotativo. Perciò se hanno il coraggio di introdurre un propulsore simile nel 2019, dove ibrido e ecologico vanno a braccetto, possono solo che lanciarsi in questa avventura chiamata WRC+.