La stagione è cominciata. Tanti rally in calendario e altrettanti raid in arrivo. Settimana passata abbiamo parlato con Stefano Rossi che ci ha raccontato la sua esperienza all’Africa Eco Race e il suo impegno nel Cross Country. Stavolta tocca a Umberto. Per chi mastica di Rally Raid sicuramente il suo nome non gli suonerà nuovo; infatti è stato navigatore di Miki Biasion nella sua avventura in camion nella Dakar. Umberto è tornato da pochi mesi dal Marocco Desert Challenge, una competizione che è ancora “acerba”, ma come ci ha spiegato nelle parole qui sotto, ha il prospetto per diventare una grande gara. Non a caso quindi abbiamo scelto di scambiare quattro parole con lui, soprattutto anche per parlare di Sahara Racing Cup, nella quale sarà direttore di gara.

Perciò vi lascio al racconto e ai grandi progetti di Umberto Fiori. Buona Lettura!


-Ciao Umberto grazie della tua disponibilità. Iniziamo con il chiederti: Marocco Desert Challenge. Raccontaci un po’, come mai questa gara?

Ciao, grazie a voi per avermi contattato. E’ stata una bella avventura ma prima di parlarne mi pare giusto dire come sia partito il tutto. Diversi anni fa mi hanno presentato questa ragazza giapponese, Keiko Hamaguchi, che faceva il Rally dei Faraoni.

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Aveva parecchie difficoltà e non riusciva a terminare la corsa. Mi hanno convinto a darle una mano e così è stato per l’anno successivo. Chi me l’ha fatto fare! A parte gli scherzi, ci siamo fatti in quattro e siamo riusciti a finire. Capisci bene che non avendo mai corso una gara in mezzo alla sabbia e tanto meno sapere come affrontare delle dune è veramente difficile. Tuttavia è nato questo rapporto, dato che voleva solo me per poter partecipare, e ogni anno facciamo un paio di gare. Quest’anno abbiamo optato per il Marocco Desert Challenge; ci siamo imbattuti per caso a dir la verità, perchè come ben sai il Faraoni non lo fanno più e volevamo una gara che fosse nelle nostre aspettative. E’ una corsa organizzata bene e sta crescendo considerevolmente. Ci sono personaggi forti, non di spicco chiaramente, ma che anno dopo anno sono sempre in crescita. Quello che mi piace molto è il concepimento delle prove speciali: si parte dal campo e si arriva al campo. Niente trasferimenti. E’ una gara comunque dura che non va sottovalutata, dato che la media dei chilometri per prova si aggira intorno ai 400km. Devo dire che però è tutto molto friendly, non essendo una gara titolata FIA è tutto più alla mano, umano possiamo dire. Mi ha riportato indietro, alla parte amichevole e avventurosa di queste gare.

-Hai avuto modo di assaporare diversi tipi di competizioni tra le sabbie; Che cosa cambieresti, o meglio, cosa ne pensi della nuova Dakar e della controparte Africana?

Le cose posso dire che si evolvono, come per tutto, anche qui capita lo stesso. Se una volta potevi partire con una chiave inglese in tasca, la ruota di scorta sul tetto e un interfono fatto in casa, ora sicuramente non si può più. Lo spirito è cambiato. Devo dire che al Sud America, è l’anima che manca. Non fraintendermi, ma manca qual qualcosa che ha caratterizzato per anni la Dakar, e in questo caso è la location. Sicuramente è cambiato l’approccio con lo scenario: il meteo gioca un ruolo fondamentale e rende la gara imprevedibile. E’ un percorso più complesso, tecnicamente parlando. La cosa che non mi piace è la prerogativa di dover fare per forza tantissimi chilometri in questo tipo di gare, è diventato come un marchio. Ed è qui che risiede uno dei problemi del Sud America: devi tornare indietro o fare a zig zag per aumentare il chilometraggio, mentre in Africa non hai questi problemi. Ormai è una corsa che è diventata per super piloti in un super business. Si è creato un brand davvero fortissimo. Ritornando all’inizio, l’anima della Dakar erano i piloti privati. Loro hanno scritto le pagine migliori di questa gara, con imprese incredibili e non parlo di classifica. Come puoi ben capire, con il business questa parte la uccidi.

-Sappiamo che sarai il direttore gara del Sahara Racing Cup. Parlaci un po’ della gara, come è stata sviluppata e soprattutto quale impronta avete voluto darle. Federico ci ha già illustrato benissimo la corsa, ma ci piacerebbe sapere anche cosa ne pensa il marinaio all’interno della barca…

Mi hanno coinvolto; ne sono entusiasta! Era un’idea che avevo già in testa da tempo. Quando me l’hanno proposto ero al settimo cielo. Non ho voluto dargli l’impronta corsaiola, ma come se fosse un grande viaggio. Ovviamente le prove speciali le abbiamo messe per creare competitività tra gli equipaggi. Road Book alla mano, le prove saranno meno lunghe ma più tecniche. Inoltre avrà anche un’impronta leggermente rivolta verso la regolarità. Sarà inserita una prova notturna che credo sarà una bellissima esperienza per tutti ovviamente totalmente in sicurezza. Non sarà solo l’auto ad essere la protagonista, ma anche il fisico e la mente dell’equipaggio. 

-Grazie mille Umberto, e a risentirci presto!

Grazie a voi, sempre a disposizione!

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