Ormai è stato già scritto. E comunque vada a finire, l’approccio scelto dalla commissione FIA WRC, è fra il grotesque e il bête, come direbbe Flaubert. E’ infatti piuttosto bizzarro il metodo con cui si intende affrontare la “patata bollente”, ovvero l’attualissimo tema del rilancio del mondiale rally; è piuttosto evidente a tutti che il problema, infatti, sia quello di veicolare verso gli appassionati il prodotto esclusivo del rally. Che ha un grande potenziale –fin qui tutti d’accordo- ma è ancora grezzo e per così dire, viene lasciato perire, sprecando una risorsa che ha grandi capacità attrattive. Con altre parole, si riconosce la sostanza del problema, poiché il WRC, anzitutto, ha serbate capacità di generare dividendi e premi derivanti dagli incassi dei diritti televisivi. Un business allettante e redditizio, che nella categoria dei rally ha sempre fatto fatica ad avanzare. Fra poco credibili scuse e un impegno mai veramente concreto. E soprattutto, a causa di mancati investimenti in un oggetto misterioso. Che in pochi hanno osato far viaggiare fino in casa del pubblico. Ma quale pubblico?

Per caso la FIA vuole liberarsi di quella “nicchietta” di appassionati (autentici), per fare un balzo generalista e, se vogliamo, piombare nel mondo profano?
Ben venga il salto quantitativo –ma non qualitativo- se ciò può finalmente aprire le porte ad altri costruttori, ma non si dimentichi che, alla fine, lo zoccolo duro è quello che si posiziona a bordo strada, quello che, insomma, alimenta l’appetito di pubblico delle case. E se la mentalità ristretta o borghese che dir si voglia della FIA deve massacrare il WRC, farne un vero scempio, per poi gettare nel cestino la nuova esperienza in caso di fallimento, allora è lecito dire no, grazie.
Guardare il pubblico dal buco della serratura, d’altronde, è una pratica recentemente assai diffusa negli ambienti della Federazione, come l’evidenza empirica mostra, a partire proprio dalla Formula 1.

Il metodo, dunque, lascia a desiderare, poiché si parte da presupposti difficilmente condivisibili o, quantomeno, impopolari per il pubblico specializzato. Nonostante –e qui il paradosso della FIA- l’intenzione sia quella di attirare le masse, cioè di realizzare una “fabbrica del consenso televisivo”, ci permettiamo di mettere in discussione le probabilità di successo di una campagna così vasta. Che è irta di ostacoli e di buche, perché lanciare il nuovo formato senza grandi certezze di successo è un pericolo da funamboli. Ne va della credibilità di un campionato che, altrimenti, porterebbe sulle spalle una macchia, uno sfregio insanabile. Inoltre, l’assenza ideologica –in senso ampio- della Federazione porta ad affermare, con Olivier Ciesla, che “la gente vuole un risultato imprevedibile che tiene il risultato aperto più a lungo possibile”, però poi, con inguaribile ottimismo, sottolinea che “il loro lavoro (ndr, commissione WRC e promoter) è come quello dei chirurgi, i quali intervengono su un punto fondamentale, senza creare un danno collaterale attorno”.
Qui si scade nel più puro delirio, giacché, come è noto, l’intenzione è quella di allestire l’ultima PS in modo tale da creare sfide a gruppi di tre piloti entro i primi dodici classificati. Finendo, appunto, nel merito della questione, per risultare bête, insipiente.

E’ drammatica, fra l’altro, la leggerezza e la superficialità con cui si intende modificare il giocattolo del WRC, del tutto scevra, come già sottolineato, di responsabilità. Ed è ancor più terribile il fatto che la nuova soluzione, che verrà presentata a settembre, si colloca a metà fra il consapevole e l’ingenuo.
Da un lato, si riconosce la proporzione dell’azzardo, dall’altra, però, che i targets sono “l’eccitazione” e “l’imprevedibilità” del risultato. Ignorando che, in un rally, questi due elementi decisivi ci sono già. Ad ogni tornante.
Il promoter Ciesla, poi, corregge il tiro, evidenziando anche la “piena adesione dei soggetti interessati” (cioè i costruttori). A buon intenditore, poche parole. Il suicidio è collettivo ed è ancora peggio, perché è ciò che il WRC, a medio-lungo termine, non può permettersi. Nel nome dello spettacolo (e del business), però, si è disposti a sacrificare qualsiasi cosa. Perfino l’onorabilità di uno sport, i cui curatori si rifiutano di consultare gli appassionati. Eppure gli strumenti ci sono, si potrebbe osservare: ciò non interessa però alla FIA, perché ha già stabilito le funeste sorti del mondiale rally.

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