Al via dell’edizione 2014 della Dakar mancano solo due giorni, ma ancora prima del podio della partenza, emergono subito le prime avversità, che al contrario dello spirito della Dakar, hanno un sapore piatto, procedimenti che oggi potremmo bollare come “burocratici”, un qual gusto pedissequo totalmente estraneo alla natura della gara. D’altronde, potremmo osservare, è solo il prologo di una serie di atti e scene che si snoderanno dal cinque al diciotto gennaio. E nel frattempo, in Africa, si svolge l’Eco Race, partita pochi giorni fa e che assume delle sembianze in antitesi, rispolvera il formato tradizionale, lasciando spazio a piloti amatori, ma anche a nomi importanti , fra questi brilla Jean Louis Schlesser, che con il suo buggy ha le pagine più memorabili dell’evento, in chiaroscuro; è una sorta di tuttologo sportivo, avendo vantato anche una breve esperienza in Formula 1 e soprattutto una carriera nel Mondiale Prototipi.
La Dakar, quella organizzata da ASO, tuttavia, guarda avanti, ispirandosi alla creazione originale, per edificare un prodotto ancora giovane, ma che ha imparato a stare in piedi, riuscendo a riscuotere quel successo di cui aveva urgente bisogno, un vestito candido che della popolarità sul territorio il suo punto di forza.

Con circa settecento veicoli sbarcati a Campana, nei pressi di Buenos Aires, la carovana finisce, come di consueto, per “investire” realtà già abbastanza caotiche, perché nel rigore delle verifiche tecniche, si annida nella fissità della prammatica, un ampio ginepraio di inconvenienti, più o meno spiacevoli, che compongono la “Babele” sportiva: affianco alla necessità di estrinsecare la massima disciplina e fermezza nell’applicare le sanzioni –ricordiamo la squalifica nei confronti del “big” Nikolaev- c’è la libertà espressiva che stride con essa e che fra l’altro è inevitabile; è un dualismo innato ed una convivenza obbligata in quanto una condizione supplisce all’altra. E’ una miscela eterogenea di inflessibilità –indispensabile- e arte dell’improvvisazione, giacché il territorio e le insidie ne implicano la tempestiva applicazione. Il calcolo è semplicemente superfluo, la Dakar è in continuo divenire e muta costantemente aspetto.

Proprio in questi giorni, infatti, si è abbattuto su gran parte della regione di Santa Fe un violento temporale il quale, se ha avuto un effetto temporaneo “benefico”, viste le elevate temperature medie estive, si è tradotto con una pronunciata correzione del road book; i fiumi esondati hanno rilasciato una quantità di detriti notevole, hanno compattato il fondo in alcuni punti, in altri lo hanno reso impraticabile e difficilmente praticabile. Secondo David Castera, infatti, per la terza e la quarta tappa, non sono escluse operazioni con la “forbice” per sfoltire tratti non consoni alla sicurezza.

Il direttore della Dakar non si è mai nascosto e ha sempre privilegiato una comunicazione diretta e spontanea, in un contesto in cui l’indiscrezione tenta di sostituirsi alle notizie limpide, con lo scoop dietro l’angolo. Emerge così, in tutte le sue interviste rilasciate nel pre-gara presso il Dakar Village –cocktail di tensione e serenità- la sua preferenza per la terza tappa, una “marathon stage” per le moto che metterà a dura prova la resistenza umana e meccanica. Quando mezzo e uomo si ritrovano in un connubio unico, inscindibile. E allo stesso modo, è innegabile come le pedanti e bizantine procedure tecniche siano ulteriormente rallentate dalla pioggia, che ha smesso di cadere solo oggi. Nel frattempo, hanno già verificato tutti i locali, mentre nella giornata odierna si susseguono i controlli degli “alti papaveri”, citiamo brevemente il team De Rooy, i russi di Kamaz, la Yamaha di Despres, mentre hanno già verificato alcuni connazionali.

L’annuncio, infine, dell’ingresso di Peugeot come costruttore ufficiale nel segmento cross country, dichiarato dall’anchorman Castera, volto a confermare l’imminente ingresso del gruppo PSA, il quale, pertanto, andrà ad infoltire le fila di coloro che continuano ad investire sul progetto avveniristico della Dakar, che si scopre ringiovanita, cresce con una fisionomia sempre più particolareggiata: non è la damnatio memoriae del proprio passato. Ne è la sua riscoperta, c’è ancora la contaminazione africana, anche attraverso i frammenti della sua quotidianità: Giampaolo Bedin (delle cui vicissitudini abbiamo parlato negli anni passati) ha riproposto il suo buggy, che ha sofferto problemi al motorino di avviamento, qualcuno deve “ricucire” i danni provocati dal viaggio di diciannove giorni.
Si tira il fiato, con la menta già proiettata al podio di Rosario, fra coloro che partono con sicurezza –i maestri di pluridecennale esperienza- a fronte delle new entries, fra le quali il buggy in copertina di Chicherit, accolte con un calore endemico dell’Argentina.

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