Per la VW, ci siamo imbattuti in definizioni molteplici: dalla consacrazione monegasca, passando per il fratricidio in Svezia, al gioco della bilancia in Messico fino al Leviatano in Argentina. E’ una squadra che sa rinnovarsi, non è il ricettacolo delle delusioni (cocenti), titolo che si alternano a vicenda le restanti squadre, ma è la sede, il laboratorio del successo, perché ha insito il germoglio del savoir faire e del saper trionfare. Ed oggi, lo segnaliamo con un’ottica sincera e spassionata, può anche diventare la levatrice del mondiale, proprio in virtù di una forza che non è più individuale, ma collegiale. Non lo possiamo dimenticare, nel 2013 non era affatto maturata tutta la vitalità e la salute della squadra, anzi, era monca, incompiuta, mancava insomma una costola decisiva. Quella costola, con il Rally Argentina, si riassocia al suo rispettivo corpus, la vittoria di Latvala, pur non potendo sancire un’emancipazione dalla gabbia psicologica di risultati altalenanti, se non altro mostra la tonicità del team nella sua collettività e, aggiungiamo, nell’unità complessiva, ormai è lecito parlare di vera e propria corazza. Passando infatti al piano della concretezza, sfiorata la tripletta, in VW possono brindare al pieno raggiungimento di un obiettivo prestigioso, dopo aver infilato cinque successi di fila coronati da numerose doppiette e, il culmine della grandiosità dell’opera, è rintracciabile nell’aver allevato un talento difficile, disordinato, che sprizza energia ovunque qual è Mikkelsen. C’è un fil rouge che mette in linea non solo i volti delle figure più carismatiche, ma anche le squadre più robuste e compatte.

CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI

Jari Matti Latvala 10
Volkswagen 10

Questa volta il ruolo di protagonista e di timoniere lo prende Latvala, tale da apparire quasi come un inghippo, un’anomalia, uno strano gioco dopo il bis di Ogier. E invece, della grande torta del WRC, briciole a parte, la spartizione è più equa di quanto possa sembrare: si prende consapevolezza, ancora una volta, del fatto che i rally più duri e aspri sono anche i meno stridenti alla natura del pilota finlandese. Non è stata un’accozzaglia di circostanze fortuite, fenomeno richiamato spesso nei successi privi di targa francese: è stata piuttosto una miscela equilibrata di vari fattori. Che Latvala, da astuta volpe, ha saputo cogliere in una straordinaria alchimia, a partire dalla premessa per la quale Ogier è costretto ad aprire la strada, già abbastanza impervia. In secondo luogo, il meteo variabile è stata l’ulteriore chiave di volta per mescolare ancora di più le carte, per accentuare quel senso di indeterminatezza così caro al finlandese. Rimessi in ordine i tasselli del puzzle, non poteva non affiorare un quadro con il suo segno distintivo. La grande occasione non l’ha persa: di qui a muovere in direzione di contrasto aperto a Ogier, c’è un solco ampio, probabilmente troppo.

Sébastien Ogier 9

Il più dinamico e agile dei piloti dello schieramento, per una volta, deve capitolare. Incassando però, il minimo distacco possibile, intessendo forse quanto meglio si sarebbe potuto immaginare: Ogier non è il Loeb che aveva fatto dei rally più aspri e duri il proprio cavallo di battaglia, sullo sterrato: nella macelleria argentina, in cui a spiccare non sono certi i più discreti, lungimiranza e prudenza hanno avuto la meglio. L’emisfero razionale ha sopraffatto quello passionale. E’ un aspetto costante del tratto distintivo di Ogier, abile, in fondo a interpretare la “politica della necessità”. Non è la Cuccagna l’Argentina e neppure l’Eldorado. E’ solo l’arido terreno su cui si può vincere una battaglia campale, poi però i piatti forti lasceranno prevalere il talento sopraffino, quello più acuto e accorto. Al talento grezzo di Latvala, inevitabilmente, avrà la meglio il talento raffinato del francese; il segnale, tuttavia, resta forte e lampante.


Kris Meeke 7½
Citroen 6/7

Ritorno sul podio dopo una (lunga) parentesi di sofferenza, di tribolazione, di aderenza ad una vera e propria logica rinunciataria, di pena opprimente: ci riferiamo al giogo che si è sempre portato sulle spalle di pilota irruente, se vogliamo pure inconcludente, giacché privo dello spunto vincente, del piglio del pilota controcorrente, ma altrettanto privo del carattere più flemmatico di altri colleghi. Né carne né pesce; eppure Meeke vanta un bagaglio rimasto sempre piuttosto coperto da un velo di mistero, fra prestazioni che stupiscono ed altre insoddisfacenti, insipide. Di grinta è sicuramente la prova Argentina, che chiude il cerchio, ritornando al podio del Montecarlo: due fondi diversi, così come il layout, ma la natura alla base del risultato è la stessa, un approccio fra l’attendista e il traino dell’istinto.

Andreas Mikkelsen 7½

Nel nugolo di ufficiali, spicca fra gli scudieri –se così possiamo chiamarlo- Mikkelsen, che ha preparato la “volata” delle Volkswagen: prova di grande tonicità e buona forma. Ma anche il norvegese è entrato nella carneficina della prova speciale più lunga. Quella forbice ha rappresentato, d’altronde, anche l’input ideale e irrinunciabile per rifare, ricostruire, da una tabula rasa. E fra i riedificatori, è riuscito nell’opera, in fondo neppure troppo ardita, di puntellare una rimonta scontata, che smentirebbe l’ottimo quarto posto nella sua natura, se non avesse avuto il valore, comunque, di una riacquisita confidenza. E di fronte ai principali rivali, attizza il fuoco del terzo gradino del podio della classifica, per il cui posto c’è una platea ampia. E l’ambizioso obiettivo di costruire una storica tripletta VW, incisa sulla storia del mondiale rally.

Thierry Neuville 7 e Dani Sordo s.v.
Hyundai 6

Meno incisiva è la rimonta dell’altro pretendente al podio, che si porta sulle spalle il duplice gravame di coniugare performance e risultati continui a bordo di una i20 acerba, un cavallo docile finché possibile, ma avverso prima al belga e poi allo spagnolo Sordo, che ha letteralmente trascinato la vettura fra stenti e gemiti del motore. Il quinto posto è il compendio di un maldestro equilibrio fra un auto portata alla soglia del suo potenziale e soprattutto la mancata garanzia di una vettura affidabile, facile da guidare e fluida. Una lotta interiore per risalire la china. Che rischia però di logorare un prestigio che non si protegge a suon di capovolgimenti della realtà e immagini rocambolesche.


Robert Kubica 6/7
Ford 6

Se il sesto posto del polacco è una notizia, potremmo osservare. E invece, ad un acuto scrutatore, verrà forse in mente la “lucida e visionaria follia” di Erasmo da Rotterdam; no, per una volta Kubica indossa un’altra maschera, quella della prudenza e della lungimiranza. Scoprendo, forse a sorpresa, una validità sullo sterrato impronosticabile, superando Evans sulla lunga distanza e mostrando conseguentemente un progresso facilmente tangibile: è, ancora una volta, l’apprendista di punta, che Ford ha saputo intelligentemente cogliere. E’ un sasso gettato nello stagno, anche se Kubica riesce a far parlare di se stesso ex ante. Le ripercussioni, nel frattempo, sono positive.


Elfyn Evans e Martin Prokop 6+

Non guidano più la retroguardia Ford, durante i ripiegamenti del “vero esercito” della M-Sport, perché ormai Kubica, in tempi assai ristretti, ha subito dettato un nuovo pentagramma, un nuovo ordine che Evans avranno mal digerito: troppo marcate le differenze, la forbice crea fratture all’interno di un novero variopinto, ma in fondo privo di un prodigio. Appartenenti in fondo a tre microrealtà differenti in Ford, la parte centrale della stagione si avvia in aperto deficit, in una prova, come quella argentina, che giustizia e giustifica. Una sconfitta dei “piccoli”.


Mikko Hirvonen e Mads Ostberg 6

Un crittogramma indecifrabile, offuscato e in via definitiva incomprensibile: è questo il comune denominatore del primo frangente di stagione dei due scandinavi. Entrambi sparano subito la prima salva di fucile, quasi a voler esaurire nell’immediato una risposta di Ogier. E invece, in pochi minuti, si consuma una reazione opposta, speculare, che se da un lato, per il norvegese, causa addirittura una lieve ferita, dall’altro arde, in un quadro struggente, la continua contrapposizione fra prestazioni illustri, quasi atte a voler riconsegnare Ford al suo splendore originale e performance che svuotano lo slancio propulsivo del finlandese. Che pure sembra aver recuperato la tempra dei tempi d’oro, ribadendo una versatilità più unica che rara. Ma non basta: è la Sardegna il vero spartiacque della stagione.


CLASSIFICA WRC2

Nasser al Attiyah 8

Con convinzione, ancora una volta, fa sua la seconda trasferta sudamericana, bissando il successo messicano e lanciando un chiaro segnale al più irruente Ketomaa o chi, ancora peggio, come Tanak ha subito dilapidato tutto già nella seconda prova. Il finlandese e l’estone se si sono facilmente opposti al ritmo “soft” di Al Attiyah, che non ha dettato una legge durissima. Tuttavia dura lex, sed lex, la legge è dura ma è pur sempre la legge: prima si è saldamente piazzato avanti, poi ha messo alla frusta tutti i rivali minori, a partire dall’insidioso Fuchs, che alla fine si è arreso alla natura del pilota più forte. Infila un secondo successo prezioso, che sarà lo scudo ideale per proteggersi dai prossimi attacchi da parte, fra altri, anche del nuovo arrivato Chardonnet.

Jari Ketomaa e Ott Tanak 6

Molto più magra e scarna è la prestazione dei due nordici, irrimediabilmente compromessa dall’iniziale ferita, mai rimarginata: per entrambi è stata profonda, troppo ampia per consentire un recupero agevole di fronte al binomio di testa Al Attiyah-Fuchs. I due “eroi byroniani”, avversi ad alcuna concezione di regolarità, si sono infine consumati in un recupero che ha definitivamente esaurito loro il fiato, portando ad una prevedibile capitolazione. Ma il campionato è ancora lungo.


DENTRO IL RALLY

L’Argentina e le trasferte sudamericane 8

Il concetto di trasferta extra europea tende, come ormai è diventata consuetudine, a confondersi con il concetto di trasferta sudamericana. In effetti, il WRC ha sempre incarnato questa filosofia controcorrente, se vogliamo “eclettica”: di fronte ai fenomeni chiaramente tesi ad una visione internazionalizzante e globalizzante, il mondiale rally si è comportato con una sana dose di conservatorismo. A volte, il margine sottile fra necessità e volontà scompare o, per meglio dire, la seconda prevale sulla prima. Così, se da un lato emergono sempre più i filoni che equiparano per dignità culturale in ambito motoristico, dall’altro avviene un rifiuto dell’ideologia del “tutto il globo è un paese”. Ci sono solchi troppo ampli per essere ripianati in pochi anni: l’altro blocco degli sport, “quelli globalizzati”, è ormai al corto circuito. Perché la finzione va bene finché tiene. Poi ci si accorge che la culla dell’automobilismo è altrove. Nel pantheon WRC, davvero solo tre nazioni extra-europee godono a pieno titolo di questa prerogativa. E sono capaci di offrire un prodotto vincente, competitivo, limitato negli ingressi, ma non per questo meno attraenti. E’ un forgiato di nicchia che ci si può permettere.

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