Alberto Alberti, foto Martin Holmes

E chi se lo scorda il debutto di Alberto Alberti in una grande manifestazione. Anche se per alcuni puristi il Giro d’Italia automobilistico non era un Rally vero e proprio, la gara, giunta alla sua settima edizione, partiva (e arrivava) a Torino e vedeva prove speciali alternate a gare in pista sui maggiori circuiti. Una gara affascinante, sia per le vetture che vi partecipavano sia per i piloti impegnati su tratti mitici.

Sabato 20 Ottobre 1979 , nasce il mito di Alberto Alberti, rallysticamente sconosciuto, vince alcune prove di quella edizione sulla datata Lancia Stratos, solitamente usata come “muletto”. Il pilota di Santa Margherita Staffora, nell’alto Oltrepò pavese, corre con il #440 in gruppo 4 e mette in riga i grandi nomi del rallysmo Internazionale, senza fare distinzioni, dalle Beta Montecarlo Turbo di Rohrl e Alen, alla Stratos di Darniche e Carello, passando per le Porsche gr.5 di Almeras, Schon e Francia, alla Turbodelta di Pregliasco, qualcosa di inimmaginabile oggi e come se un perfetto sconosciuto italiano salisse su una grande vettura, non ufficiale, e battesse Ogier sulla WRC Plus. Ecco così nacque il mito, e se dopo 40 anni parliamo di Alberto e fortissimo il ricordo che questo ragazzo lasciò in provincia.

Il Giro d’Italia del 1979, dove Alberti concluse 4° assoluto (primo degli sconosciuti), fece notare il ragazzo che impressionò anche al suo primo importante Rally, il 4 Regioni del 1980, con alle note la sorella Maddalena, sempre su Lancia Stratos. La gara era di casa, anche se parliamo di gare lunghe che sconfinavano su territori ignoti o quasi al pilota della valle Staffora,  e Alberto concluse al comando la prima tappa, nonostante corse con gomme approssimative, davanti ai migliori piloti italiani ed europei. Il suo feeling con l’auto era eccezionale e ci vollero le prove su terra per farlo indietreggiare in classifica, Alberto non aveva mai corso su questa superficie.

La gara, finita la terra parmense, tornò ad assaggiare gli asfalti e per Alberto e Maddalena partì la rimonta, terminata in un campo con un’innocua uscita di strada sulla prova di Rocca Susella. Il mito di Alberti si consolidò, non era normale che un ragazzino potesse guidare la Stratos con tanta esperienza…non avendola. Alberto aveva anche un risvolto fortunato: il padre Giovanni, anch’esso pilota, poteva permettere al figlio di poter gareggiare già su una buona vettura e, dal lato economico, c’era una certa solidità.

Poi arriva il Rally del Ciocco, gara travagliata sin dall’inizio che finisce con un ritiro ed infine le prove del Rally Colline di Romagna che mettono fine alla vita di Alberto: era il 12 Luglio del 1980. La provincia di Pavia cade nel dramma: la morte di un giovane e bravo ragazzo va di pari passo alla tragedia sportiva, noi pavesi avevamo da poco trovato il campione, l’erede di Munari, veniamo privati di un sogno.

La tragedia di una famiglia, di una vallata, di una provincia. Il padre Giovanni Alberti era molto conosciuto in questo triangolo della Lombardia, morto il 2 Ottobre del 2019, pochi giorni dopo la moglie Piera, si sono riuniti ad Alberto.

A 40 anni da questa tragedia abbiamo contattato alcuni amici di Alberto, per capire meglio il carattere di questo ragazzo.

Giovanni Castelli, inizia a correre nel 1975, tuttora in attività, fu a contatto con la famiglia Alberti in quel periodo.

“Quando correvo con Ivano Albertazzi, parliamo del 1977/78, Alberto ci seguiva e veniva a provare anche lui, a volte era solo, altre con la fidanzata o altrimenti con amici. Aveva la patente da poco, aveva una Opel City azzurra e faceva cose pazzesche” prosegue Giovanni ” lui arrivava dalla pista, dalla Formula Abarth, era un ragazzo stupendo, una persona mite, non si dava arie nonostante fosse della famiglia più abbiente della vallata e poteva fare una vita differente, agiata, invece stava al bar con gli amici. Allora preparavamo le gare due mesi prima, si provava e si stava in compagnia. Era il boom dei Rally, lui arrivava da una famiglia corsaiola e trovò un ambiente ed amici tutti rallysti, il suo più grande amico era Ivano Albertazzi, mio copilota per alcune gare, e grande amico della famiglia Alberti, poi eravamo molti rallysti e amici di quella zona, c’era Gianfranco Bariani, Francesco Fiori, Angelo Albertazzi, suo vicino di casa e carrozziere, poi Enrico Bariani (in futuro marito della sorella, Maddalena Alberti), Piero Stafforini e Popi”.

Vi eravate accorti che poteva sfondare nei Rally?

“Ci speravamo, guidava bene era spietato, dopo la vittorie delle prove al suo debutto al giro d’Italia gli altri piloti si chiedevano chi fosse, rimasero tutti a bocca asciutta, un ragazzino giovane sconosciuto, con il padre appassionato. Si chiedevano come avesse fatto. Poi la conferma al 4 Regioni. C’è un aneddoto del padre Giovanni che dopo le prestazioni al Giro d’Italia disse: “Secondo me mi usa la Stratos di nascosto”. Io nel 1975 avevo i camion e lavoravo anche per la famiglia Alberti, lui seguiva la ditta, l’impresa “Alberti” di Varzi che faceva asfalti e calcestruzzi”.

Altro personaggio che conta del rallysmo pavese, e non solo, è Michele Tagliani, lui era più giovane di Alberto e notiamo come il punto di vista su questo ragazzo era simile.

“Alberto era una persona meravigliosa, direi “uno di Noi”, nonostante fosse una persona agiata era della vallata  e perfettamente a suo agio nei paesini in valle Staffora e spesso passava le proprie giornate all’Hotel Olympia al Brallo, dove i genitori già avevano il centro sportivo Tennis. Poi succedevano le classiche cose che si fa da neopatentati. A 18 anni, avevo la Mini e stavo salendo al Brallo, c’era la neve e trovai Alberto con la Simca, non occorreva dirsi nulla e iniziammo a fare gli stupidi. Lui davanti con la fidanzata ed io dietro con la Mini. Da Sala al Brallo a fare drift uno accanto all’altro con la sua fidanzata che gli dava gli scappellotti in testa. Non lo scorderò mai. Lo si incontrava con le due macchine della ditta, la Simca e la Renault 4, con cui andava a prendere la fidanzata o si andava in pizzeria, se non usava l’auto della ditta usava quella della mamma, la Opel City azzurra, poi anche arancione. Guidava la piccola Opel in maniera incredibile in ogni condizione, eravamo certi diventasse un campione era di un livello superiore agli altri, sono stato anche più volte in macchina con lui ed è stato sicuramente il corso di guida più proficuo che potessi mai fare. La sua morte fu qualcosa di terribile, un risveglio che ricordo come fosse oggi ed una tristezza mai provata”.

Riportiamo una frase del padre a cui puoi dare una risposta, dopo il Giro del 1979, Giovanni disse “Secondo me usa la mia Stratos di nascosto”.

“In effetti era così, ogni tanto prendeva la Stratos e la usava nelle nostre vallate, naturalmente di nascosto dal padre. La Stratos non era affatto facile da guidare ma lui in quelle prove al Giro mise dietro tutti, fu incredibile. Anche al 4 Regioni era davanti dopo la prima tappa, poi sulle prove in terra non gli diedero gomme buone, ma aveva dimostrato tutto il suo valore, sarebbe diventato un pilota ufficiale ne sono certo. Lui arrivava ed amava la pista ma la formula Abarth era pericolosa, ci furono incidenti, rischiò e il padre lo convinse a correre nei Rally. Un ragazzo così sfortunato. Un incidente con la Porsche, che usava per le ricognizioni, un urto contro un albero e la morte quasi sul colpo. In realtà lui doveva provare con la Stratos muletto che però lamentava problemi, decisero di rientrare e fece il pezzo di prova speciale che era da fare comunque per la via del ritorno. Poco dopo l’incidente arrivò il camion con a bordo la Stratos, guidava Ivano Albertazzi e c’era il padre Giovanni. Al fianco di Alberto il copilota Enrico Bariani, illeso. Una serie di eventi incredibili un destino atroce contro una persona squisita”.

Anche Piero Ventura, giornalista, pilota e navigatore, traccia un profilo del pilota. “Io l’avevo conosciuto in pista., ai tempi della formula Abarth, nei Rally era appena sbarcato, era molto riservato, era giovane e sconosciuto ai più. Invece era conosciuto nella valle Staffora dove era un ragazzo brillante ed era attorniato da amici rallysti. In quelle gare fece qualcosa di mai visto, al debutto al Giro mise dietro Rohrl ed Alen sulla Lancia gr.5, lui che aveva una Stratos datata. Molti lo attesero al 4 Regioni dove fece ancora meglio, molti lo notarono altri giornalisti dissero  che era la gara di casa, capendo poco di Rally. Al Ciocco ebbe problemi alla vettura e si ritirò e dunque il Colline di Romagna era una gara attesa e sappiamo com’è andata. In poche gare dimostrò il suo valore ma il destino interruppe una carriera tutta da scrivere. Fu una tragedia incredibile, a Pavia tutti parlavano del tragico evento, anche i non sportivi. Il padre Giovanni era conosciuto, la morte di un giovane e potenziale campione fece il resto. Il padre lo volle nei Rally per la pericolosità della pista e , forse, non si è mai perdonato quella scelta”.

Concludiamo con un pezzo sempre di Piero Ventura:

“Alla fine degli anni Settanta, in Italia, quando ormai il mito “Munari” aveva vissuto i suoi momenti più esaltanti, i piloti che andavano per la maggiore erano i vari Bettega, Pregliasco, Cerrato, Cambiaghi, “Tony”, Vudafieri, “Lucky”, Verini, Bacchelli, Presotto ecc. A misurarsi con i nostri campioni nelle prove europee e mondiali di casa nostra venivano i più forti specialisti continentali come Darniche, Zanini, Beguin, Andruet, Coleman ecc. Tutti piloti ufficiali al servigio di Case o Scuderie d’alto rango. Emergere in simili circostanze era assai più arduo che non in altri momenti. E’ in questo contesto che appare sulla scena agonistica Alberto Alberti, un giovane universitario pavese, educato, semplice e riservato come vuole la tradizione della sua terra, l’alto Oltrepo dove, da Sala, una manciata di case aggrappate alla montagna nel cuore della Valle Staffora, la strada, ramificandosi, permette di raggiungere le vette più alte del Penice, del Brallo e del Giovà, strade mitiche che impongono rispetto a chi ama questo sport. Strade che alle cronache dell’automobilismo sportivo hanno fatto narrare epiche e inebrianti sfide tra grandi campioni del volante. Ereditata dal padre Giovanni la grande passione per le cose, Alberto, come il padre del resto, amava la pista dove assai bene si era comportato inizialmente in Formula Abarth. Poi con la Stratos all’autodromo di Magione e al Giro d’Italia, le cui prove appassionanti si svolgevano, in gran parte, nei più importanti autodromi nazionali. Alberto, nel 1979 si prese il lusso di mettersi alle spalle fior di campioni. La passione per i rally gli fu, per così dire, inculcata da parenti e amici. Li ritenevano meno pericolosi. Ed eccolo con la sorella Maddalena ed una privatissima Lancia Stratos al via del 4 Regioni del 1980. E’ l’apoteosi, il giovane Alberto Alberti, prima di un forzato ritiro, per lungo tempo tiene alle spalle i più qualificati piloti e team internazionali. Al suo passaggio l’entusiasmo sale alle stelle. E’ il nuovo idolo; l’astro nascente. Il suo volo meraviglioso verso la gloria, purtroppo, s’interruppe bruscamente poco più di un mese più tardi in ricognizione sulle strade del Rally Colline di Romagna. Qualcuno, dopo la sua scomparsa, lo definì: “Una meteora nel cielo dell’automobilismo italiano”. Ora, più convinti che mai, diciamo: “Una cometa nel cielo dell’automobilismo” la cui coda, a distanza di 40 anni, brilla ancora nel ricordo degli appassionati con immutata intensità”.

Anche Martin Holmes, da poco scomparso aveva bei ricordi del giovane Alberti, ecco un suo racconto:Olbia 2008, Rally Sardegna WRC.

-“Buongiorno Signor Holmes, me lo fa un autografo?”
-” Certo”
-” Questo è il libro del Rally 4 Regioni, la mia gara e lei vi ha partecipato nel 1978 con la Vauxhall Chevette ufficiale”
-“Che bella gara ma ho un ricordo particolare di quando ero inviato giornalista, perchè aveva la validità europea. Ero a Salice Terme e dovevo scrivere un pezzo sulla prima tappa e scoprii che al comando c’era un certo Alberto Alberti, un pilota locale. Io non avevo alcuna foto, ero stato all’inizio della prova speciale che partiva da Salice Terme e avevo fotografato solo i primi numeri, i piloti che erano favoriti. Quel ragazzo aveva il numero 36, allora uscii nuovamente e gli feci una foto prima del via. Fu un episodio curioso che mi piace ricordare, apprendendo che pochi mesi dopo morì”.

La foto copertina è quella di cui parla Martin Holmes!

In effetti sono passati 40 anni ed il “mito” di Alberto Alberti risplende come allora!

Copyright © Rally.it: puoi ripubblicare i contenuti di questo articolo solo parzialmente e solo inserendo un link al post originale.