[dropcap style=”default, square, or circle”]D[/dropcap]escrivere la carriera di Emanuele Sanfront non e’ semplice. Forse andrebbe divisa quella sportiva da quella lavorativa, anche se le affinita’ sono state molte. Tralasciamo la gavetta rallystica e consacriamolo come navigatore ufficiale Fiat, nonche’ campione italiano rally 1975 con Roberto “Bobo” Cambiaghi. Quella lavorativa e’ legata al mensile “Quattroruote”, ma anche alle collaborazione a numerosi libri di tema rallystico: il piu’ famoso “Rally” insieme a Maurizio Verini e l’ultimo “Reparto Corse Lancia” con Gianni Tonti presentato la scorsa settimana.

Sta per andare in stampa il libro dal titolo “Rally ’70. Una storia, tante storie” scritto da Emanuele Sanfront. Si tratta di una serie di racconti di alcuni rally che ha disputato in dieci anni di corse cui fanno da corollario la descrizione dei rally anni ’70, delle auto e dei piloti con cui ha corso, delle altre star di quell’epoca.

E ancora. Parlano i protagonisti: meccanici, piloti, co-piloti, giornalisti, fotografi. Raccontano gli appassionati: tifosi, collezionisti e modellisti d’auto da rally.
Infine a rendere l’atmosfera ancor più frizzante, intrigante ed esclusiva, alcuni curiosi flash di episodi “dietro le quinte” nonchè allegato il filmato in DVD “La lunga corsa” che celebra la vittoriosa e straordinaria stagione agonostica 1975 del gruppo Fiat.

L’articolo pubblicato sotto è un antipasto di tante storie che, prese singolarmente, raccontano momenti emozionanti e irripetibili di un mondo esaltante, quello dei rally anni ’70 appunto. Piccoli tasselli che si prestano a fare da filo conduttore in un libro dedicato agli appassionati di rally che sarà presentato al Salone Auto Moto Retrò di Torino dal 7 al 9 febbraio 2014 e sarà in libreria a partire dallo stesso periodo. Il prezzo? Intorno ai 25 euro, compreso naturalmente l’esclusivo e interessante DVD.

Con lei nasce la passione

“Il primo amore non si scorda mai. Vero. Anche la prima auto, però, non si dimentica facilmente. La mia fu una Fiat «124» berlina blu scuro. Veramente era di mio padre, che, nel 1966, la pagò, su strada e in contanti, 1.118.400 lire (577,61 euro). Nel prezzo, due dei tre optional previsti dalla Casa, l’antifurto (4500 lire – 2,32 euro), lo schienale regolabile dei sedili anteriori (10.000 lire – 5,16 euro), mentre non erano compresi i pneumatici con fianco bianco (8600 lire – 4,44 euro) giudicati un po’ troppo aristocratici per una berlina di classe media. La «124» blu, però, stava soprattutto in garage poiché mio padre preferiva recarsi al lavoro con i mezzi pubblici. Fui io, fresco di patente, a convincerlo a farsi accompagnare in auto per il rientro pomeridiano in ufficio. Ed ecco che all’ora fatidica, le 14.30, minuto più minuto meno, dopo un perentorio «Andiamo!» di mio padre entravo in azione. Prima, seconda, terza, adottando una guida molto tranquilla, destreggiandomi nel traffico senza che fastidiosi sussulti, dovuti a cambi marcia troppo bruschi, alterassero la fluidità di marcia raggiungevo il centro. Salutavo l’augusto genitore con un «Ciao, ti passo a prendere questa sera», poi, finalmente, il pomeriggio con lei, la «124». Pomeriggi che il più delle volte trascorrevano tra auto-lavaggi e negozi di autoaccessori. E così iniziai a personalizzare un po’ l’asettica, almeno per me, «124» blu, anche se dovevo stare molto attento nel scegliere i «pezzi» da cambiare per non incorrere negli strali del genitore. Incominciai a sostituire il pomolo del cambio in plastica rimpiazzandolo con uno di legno, mentre per i fendinebbia ci volle un po’ di tempo poichè dovetti attendere la «bustarella» natalizia per disporre dei soldi necessari per acquistarli. Già, perché la «mancetta» settimanale elargita dai genitori non mi lasciava ampi margini d’investimento: qualche sigaretta, un cinema e la benzina per la «124», che, a essere sinceri, non è che fosse poi tanto sobria nei consumi. Secondo la prova di Quattroruote, di cui ero un accanito lettore, a 120 km/h si riuscivano a percorrere 9,4 chilometri con un litro mentre a 140 km/h se ne facevano a mala pena 7,6. Così molto spesso mi capitava di riuscire a mettere insieme non più di 3000 lire (1,55 euro). «Un pieno da studente!», dicevo, vergognandomi, mentre porgevo le banconote all’addetto dell’area di servizio. Beh, all’epoca con 3000 lire (1,55 euro) si riempiva il serbatoio di una «500» (alla fine degli anni Sessanta, la benzina costava 140 lire al litro, cioè 0,07 centesimi!).

Certo, al volante della «124» mi divertivo, ma, a lungo andare la monotonia del percorso casa-ufficio-casa con a fianco mio padre aveva in qualche modo sgonfiato i miei ardori di pilota.
Poi la svolta. Una sera fui invitato da alcuni amici a vedere il passaggio dei concorrenti iscritti al rally Sanremo-Sestriere, una corsa molto importante, valida anche per il campionato mondiale della specialità. C’erano veramente tutti, piloti italiani e stranieri delle squadre ufficiali Fiat, Lancia, Renault, Ford, Porsche e ovviamente numerosi equipaggi privati. Tra i partecipanti anche due personaggi eccellenti: Stirling Moss, ex campione di formula 1, e Luca Cordero di Montezemolo, sì proprio lui, l’attuale presidente della Ferrari. Per seguire la corsa andai con i miei amici sulle colline nei dintorni di Torino, città dove allora abitavo, in un tratto di una delle prove speciali considerate tra le più impegnative e selettive del rally. Una frazione cronometrata su terra tutta saliscendi e curve in cui venivano messe a dura prova sia l’abilità dei piloti sia la meccanica delle auto. Ci posizionammo su di un terrapieno in un tratto spettacolare: dopo un lungo e veloce rettilineo i concorrenti dovevano affrontare un curva piuttosto stretta. Già al passaggio delle due auto apripista avevamo capito che il divertimento non sarebbe mancato. Ecco che arriva la prima auto, una Lancia «Fulvia HF». La rossa coupé con il numero 1 sulle fiancate percorrere il rettilineo a velocità impressionante, quindi il pilota scala rapidamente le marce e, dopo una violenta frenata, fa sbandare la vettura nella direzione opposta alla curva riprendendola poi con una brusca controsterzata e facendola quindi passare sotto i nostri occhi completamente di traverso. Eccezionale! Esulta anche il folto pubblico. «Pendolo perfetto eh?» mi dice un tizio. Annuisco, scoprendo solo dopo un po’ di tempo che in gergo rallystico si chiama così la manovra fatta dal pilota della «Fulvia». La corsa va avanti. Man mano che i concorrenti passano riesco a capire se sono tra i più veloci. Semplice, basta osservare quanto tempo prima della curva alzano il piede dall’acceleratore. Più i piloti ritardano la staccata e più hanno pelo. Non si è ancora posata la polvere sollevata dall’auto numero nove che la dieci sta già percorrendo come un missile il rettilineo. «Questo sì che va forte» mi dice, dandomi di gomito, il tizio di prima. Ne sono convinto anch’io e inizio a fissare il punto dove dovrebbe eseguire la staccata. Il pilota al volante di un’altra «Fulvia HF», non accenna però a frenare. Lo fa quando gli altri che erano passati prima avevano già fatto accendere da qualche secondo la luce rossa degli stop.

Troppo tardi! La coupé da rally tira diritto e si fionda contro il terrapieno diventando un «murale vivente» proprio sotto i nostri occhi. I potenti fari si spengono di colpo, il motore si ammutolisce, il frontale della «Fulvia» è un groviglio di lamiere contorte. Pilota e navigatore si tolgono i caschi, si sfilano le cinture di sicurezza, escono dall’auto sbattendo le leggere porte con i finestrini di plastica e svaniscono nella notte. Che uomini, penso tra me e me. Con l’aiuto di una pila consulto l’elenco degli iscritti per sapere chi sono quei due extraterrestri e leggo: Balestrieri-Audetto su «Fulvia HF» della squadra corse Lancia. Due professionisti, insomma. Quanta invidia. E intanto i soliti ignoti erano già all’opera per «prelevare» numerosi souvenir da quel che restava di una ex gloriosa «Fulvia HF» da corsa.
Ritornai in città nel cuore della notte e mi vedevo già al volante della «124» blu mentre ripercorrevo la prova speciale del rally. Chissà cosa sarei riuscito a combinare, mi chiedevo. Perché non provare? Non ci misi molto a capire che era un’impresa possibile. In fin dei conti l’auto ce l’avevo e, tutto sommato, bastava un’accurata programmazione per riuscire nell’intento. Già perché c’erano alcuni ostacoli da superare. Il principale era costituito dal fatto che mio padre aveva deciso di usare la «124» per andare in ufficio sia alla mattina sia al pomeriggio. Non mi persi d’animo e cercai dei complici. Così trovai Giorgio, un mio compagno di classe che contribuiva alle spese e mi faceva da navigatore e, soprattutto, Gaetano, custode notturno del garage dove era parcheggiata la «124», il cui ruolo fu determinante nel rendere possibile l’operazione. Beh, almeno una volta alla settimana, succedeva che alla sera non appena mio padre lasciava la macchina in garage, ovviamente a sua insaputa, entrava in azione la banda del rally. A Gaetano era affidata la preparazione della «124»: sostituzione dei cerchi ruota con gomme normali con altre equipaggiate di pneumatici dal battistrada più scolpito, montaggio sul paraurti anteriore di una speciale staffa con quattro fari supplementari e, infine, distacco del cavo del contachilometri (per non creare inutili e pericolosi sospetti di mio padre). Poi, verso le nove, mi presentavo al garage in jeans e scarpe da tennis, mi mettevo al volante della «124», allacciavo la cintura di sicurezza e via. Passavo sotto casa di Giorgio e insieme ci dirigevamo verso la collina torinese raggiungendo in meno di un’ora la prova speciale da dove qualche mese prima aveva preso l’avvio questa vicenda.
A percorre la prova avanti e indietro per svariate volte non eravamo però quasi mai da soli.

Decisamente alto, quindi, il rischio di un frontale anche se un aiuto ce lo davano i potenti fari che in qualche modo ti avvisavano se stavano arrivando in controsenso dei disperati come noi. Nonostante alcuni incontri piuttosto ravvicinati, ci è sempre andata bene evitando così di fare un facelifting alla Fiat «124». Mi ricordo che alla partenza della prova speciale la strada iniziava a salire. Rettilineo, tornante, una rapida sequenza di curve, un altro tornante, poi, dopo un dosso, la discesa, non ripida, piuttosto veloce e con ampi curvoni. Mi divertivo molto a impegnarmi nella guida pseudo rallystica anche perché la fida «124» blu si esprimeva al meglio: si inseriva facilmente nelle traiettorie e non aveva mai delle reazioni improvvise. Se osavo un po’ tendeva al sottosterzo, ma bastava rilasciare un po’ l’acceleratore per rientrare nella giusta traiettoria. Certo, qualche divagazione per i prati l’ho fatta, così come non ho mai contato i testa e coda, ma, forature a parte, sono sempre riuscito a riportare in garage la «124» senza un graffio. Beh, a volte era difficile riconoscere il colore tanto era sporca di fango, ma ad aspettarmi c’era Gaetano che la portava immediatamente nell’auto-lavaggio. Poi, durante la notte, sostituiva le gomme, smontava la staffa anteriore per i fari supplementari e ricollegava il cavo del contachilometri. La mattina seguente, come se nulla fosse successo, la luccicante «124» blu faceva mostra di sé tra le altre vetture del garage. Alle 8 in punto, salutato da Gaetano che stava terminando il turno di notte, mio padre saliva a bordo della «124» blu, dava una regolata allo specchietto retrovisore, girava la chiave d’accensione, ingranava la prima e partiva alla volta dell’ufficio. Ancora oggi mi chiedo se mai avesse intuito qualcosa. Comunque, le zingarate notturne al volante della mitica berlina paterna continuarono, sia pure a fasi alterne, per alcuni mesi. Poi, qualche anno dopo, iniziai a correre sul serio nei rally. Prima gara il rally internazionale delle Quattro Regioni a Pavia dividendo il volante di una Renault «12 Gordini» con tale Carlo, ovviamente un mio amico.

Andavamo forte nei controlli orari su asfalto e «risparmiavamo» la macchina con un’andatura più ridotta nelle prove speciali su terra, incuranti della classifica che ci vedeva piombare sempre più in basso. Ricordo che, prima della partenza del rally ci dividemmo le prove speciali con la promessa di disputarne una a testa in sequenza: una io e una Carlo sino al termine della corsa. Il patto durò solo fino a metà della prima tappa. Poi, prima di una prova speciale che avrebbe dovuto vedere alla guida Carlo, approfittai di una sua «sosta» nei pressi di una pianta ai bordi della strada e mi misi al volante della Renault «12 Gordini» qualche secondo prima della partenza della prova speciale. Non abbandonai il volante sino a fine tappa. Senza «note», nell’interfono del casco sentivo solo le imprecazioni di Carlo, ci ritirammo poi a metà del secondo giro per la rottura di un giunto. Seguirono due stagioni trascorse come co-pilota a bordo di una Lancia «Fulvia HF». Poi il tanto sperato e quasi impossibile ingresso in una squadra ufficiale di rally, quella della Fiat. Professionista! Un sogno diventato realtà, roba da non credere. Come navigatore condivisi così per un anno l’abitacolo di una Fiat «124 Abarth Rally» con Roberto Cambiaghi. Gareggiavamo per i primi posti della classifica affrontando avversari dai cognomi illustri, Munari, Darniche, Andruet, tanto per citarne alcuni. L’impegno fu massimo e grazie all’aiuto di un po’ tutta la squadra alla fine della stagione del 1975 vincemmo il campionato italiano.

L’avventura continuò l’anno seguente sempre al fianco di Roberto; questa volta però a bordo di una berlina, la Fiat «131 Abarth Rally», con la quale disputammo anche gare valide per il campionato europeo della specialità. Quando decisi di attaccare il casco al chiodo erano ormai trascorse ben dodici stagioni. Chi l’avrebbe mai detto!

A proposito dell’accenno iniziale, il primo amore, il mio si chiamava Anna. Era una cara e dolce compagna di classe. Non l’ho mai più rivista”

Emanuele Sanfront

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