E’ notizia recente (http://www.rally.it/sainz-alla-dakar-col-leone/) l’approdo di Peugeot alla Dakar 2015, con una 2008 DKR che sarà svelata al Salone di Pechino il 20 aprile: l’affilata arma vuole essere la giusta erede della 405 T16 e si presenterà, presumiamo, con un mezzo 2WD; allo studio, gli enormi vantaggi regolamentari che porterebbero la casa francese ad un investimento sul crossover europeo, simbolo dell’automotive design che cambia e si rinnova, rivelandosi in creature capaci di coniugare e sintetizzare molteplici funzioni. Vuole essere un restauro, un’esperienza tagliente e secca, “indolore”, con un campo di azione di pochi anni. Come fu il triennio della 405.
L’elemento del ricordo e della reminiscenza è forte: la casa francese ha voluto subito calcare l’aspetto più emotivo della partecipazione, manifestando subito un legame, un filo diretto, con quella che è la tradizione, l’origine ancestrale nel motorsport. D’altronde, se il rally è la casa naturale di PSA, anche il richiamo ai colori nazionali è ineluttabile. Sulla falsariga di Peterhansel, anche il pluricampione si lancia nella categoria auto, abbandonando il sogno di un successo con Yamaha alla Dakar: è ancora più possente il sogno di coniugare la propria poliedricità al sogno tutto francese. In una coppia, quella formata con Carlos Sainz, che sembra combaciare perfettamente in quanto ad ambizioni e desideri di riscatto; fanno propria la voglia di ribaltare l’establishment costruito dalla Mini negli ultimi anni.

In ultima analisi, ci permettiamo di osservare che il taglio dato da Peugeot ad una campagna di vera e propria conquista, ha le sfumature tipiche dell’epopea, richiamando i frammenti della storia Peugeot di cui si è accennato sopra. D’altro canto, il rilievo assunto dalla Dakar 2015, non è da meno. Ci si accorge, infatti, immediatamente di una spia luminosa: l’elemento ad anello ritorna ad essere architrave di un rally raid, la circolarità di una gara che arriva dove aveva cominciato il proprio percorso. E, con dovuta attenzione agli aspetti più strettamente concreti, l’attenzione è stata rivolta alla funzione di Buenos Aires: la capitale argentina torna ad essere il perno della gara, inevitabile per un evento che ha ambizioni universali, dalla levatura naturalmente internazionale. E’ una Dakar che allarga la veduta, quanto basta: non ha smanie di grandezza, non alimenta le ventilate candidature di Brasile, Ecuador e Colombia, in quanto è già consapevole di aver raggiunto un’armonia più che sufficiente, sul piano della forma e della sostanza. Valore paesaggistico e morfologico a parte, che pure costituisce una frangia importante della Dakar, la conferma della Bolivia in pianta stabile, garantirà la seguente distribuzione:
-Cinque tappe in Argentina;
-Sei tappe in Cile;
-Tre tappe in Bolivia.
Ultimo elemento di distacco, è dato dalla collocazione delle giornate di riposo, differenti per auto e moto; la sede sarà ad Iquique, che ospiterà i primi il dieci gennaio, i secondi il 12 gennaio.
Non è un taglio netto con il passato, anzi è una rivalutazione dei suoi canoni: il paradigma, ripreso abilmente da ASO e da Peugeot, guarda al passato come fonte di ispirazione, un modello per continuare a costruire e sperimentare, senza eccessi e senza fronzoli.

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