Alla fine, si potrebbe dire, è andata come ci si aspettava che andasse. O forse no. Ogier è di diritto il favorito, ma si sa, i pronostici e i fatti sono due volti inconciliabili del rally. E poi si veniva da quella scena, un po’ dadaista, nella quale si Ogier si inneggiava, teatralmente, a vincitore del Rally del Portogallo. Per non parlare della dura, durissima polemica condotta dal francese, che di digerire regole non ne vuole sapere.
No, si è capito, non ci è piaciuto quel gesto e tantomeno quelle parole del due volte campione del mondo: è una lotta contro i mulini –alla quale ha rinunciato la stessa Volkswagen- insensata giacché priva di un reale dissenso. E’ un disagio naif, che rivela un’insofferenza giustificata sì, ma che andrebbe anche superata.
Oltretutto, si verrebbe a formare una frattura letale per un campionato, il WRC, che pur godendo di discreta salute, non vanta certo un significativo potere politico/contrattuale, per dirla in termini generici, nel consesso FIA. A dimostrazione di ciò, al di là di eventi “imbarazzanti” di portata minore che non citeremo, i quali certo ne hanno minato la forza al “tavolo delle trattative”, c’è indubbiamente la sovrapposizione del Rally Italia Sardegna con la 24 ore di Le Mans. Sarebbe inutile il confronto, anche perché i primi tentativi di live broadcasting del WRC, per quanto apprezzabili, nulla possono contro quella che è la regina di tutti gli eventi motoristici. Ed è in ogni caso sufficiente per comprendere la posizione attuale della categoria.

E’ una sorta di condizione borderline a danneggiare il WRC, fra successo e insuccesso, fra splendore e decadenza, che, ahinoi, si riflette in quello che è il prodotto finale. Sulla bilancia, fra FIA e costruttori, il peso è tutto concentrato sul secondo piatto. E’ avvenuto nel “vicino” WTCC, tanto per capirci. E non si può dire alle case più ingombranti –al lettore è affidata la facile decrittazione- “la porta è quella”. Da un lato le pretese di chi entra, dall’altro la pazienza di chi, come Volkswagen –ma non solo- investe in modo massiccio nel motorsport. A un anno e mezzo dal 2017, stagione clou e punto di non ritorno per il WRC, regna ancora il silenzio –foriero di contrasti, evidentemente- anche se l’unico punto di contatto pare essere l‘accordo per accantonare qualsiasi sviluppo di vetture ibride. Di ben peggio c’è invece il parere favorevole di Barbosa alla debimetrazione (fuel flow regulation), principio che stroncherebbe il WRC, trasformandolo in una serie per petrolchimici. E gli effetti della densità-carburante, in F1, si sono visti tutti.

Le uniche carte giocate dalla FIA, nel frattempo, sono state comunque –Ogier a parte- ben spese. Il Balance of Performance è un principio che esiste da molto tempo ovunque, in qualsiasi campionato FIA, al cui principio non c’è nient’altro che sano buon senso. L’intervento sull’ordine di partenza –puristi e integralisti esclusi- non può che soddisfare gli spettatori. Sempre rimanendo sul filone del buon senso.
Ridurre la piazza d’onore di Paddon ad una semplice causa-effetto, ad un legame ovvio e scontato con la posizione di partenza, sarebbe semplicistico e seguirebbe la logica non propriamente ferrea del ragionamento (velenoso) di Ogier nei confronti del compagno di squadra in Portogallo. Non vince sempre il più veloce, regola aurea del motorsport. Tanto più se si parla di rally.
Il francese si è fatto smascherare: profusosi in lodi per il neozelandese sin dal primo giorno, ha mostrato tutta la praticità del gesto portoghese. Ed è chiaro come Ogier sia più infastidito dai successi del compagno che da quelli degli avversari esterni. Il confronto interno è tutto di prestigio, giocoforza il più tagliente e crudo. E’ tutto lì il timore del due volte campione, almeno per ora.

Fra l’altro, come risulta dall’analisi dei tempi sottostante (depurata dalle PS con chilometraggio inferiore a 2,59 km) si nota come Paddon, prese le redini il venerdì mattina, sia poi risultato efficace sul ritmo anche sulle prove “scavate” in ripetizione. Lo stesso ragionamento vale per il sabato mattina, quando Ogier aveva ben quattro piloti di fronte a sé –minimizzando dunque il problema della ghiaia- e per il pomeriggio, quando Paddon ha sofferto poi un problema di natura meccanica.
Non si discute della superiorità di Ogier, che prima o poi sarebbe sopraggiunta visti i distacchi contenuti durante il weekend. Quanto di incoraggiante è rintracciabile nella prestazione della Hyundai nel complesso è l’andamento della media (best Hyundai vs best Volkswagen) che mette in rilievo un trend positivo per i coreani, che fatta eccezione di fasi particolari, in condizioni paragonabili (secondo tornata di prove del venerdì e del sabato) si è mantenuta attorno ad uno scarto di 0,2 s/km.
Sotto questo profilo, parte dello sconforto dell’altro ottimo pilota della settimana, Thierry Neuville, è giustificato. Nei test la nuova i20 pare aver mostrato ottime performance, fra l’altro ben visibili in un confronto con la versione attualmente in gara. Uscita allo scoperto in Spagna, la vettura è molto più precisa in uscita di curva, ha più trazione rispetto all’attuale, ha un angolo di caster più pronunciato (seguendo la “filosofia” costruttiva di VW-Skoda), ma pare avere ancora qualcosa in meno della Polo. Ciò si evidenzia anche nel camber ridotto, estremizzato solo dai tedeschi che evidentemente hanno messo a punto la migliore sospensione di tutto il lotto.

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Anche la Citroen non si è sprecata suo tempo, spostando prima il know-how del WRC nel WTCC e poi viceversa. Ma in quel caso a mancare veramente sono i piloti. Forse fra una gara e l’altra si ha il tempo per ripensarci, salvo fare marcia indietro subito dopo. Hyundai ha invece ciò che serve sul fronte piloti, mentre la vettura paga ancora quello 0,2-0,3 di distacco al chilometro che è uno zoccolo duro ineliminabile, se non attraverso un aggiustamento di scelte progettuale in parte coraggiose, ma non sempre efficaci. Operazione possibile, seguendo quel che ha fatto la M-Sport in modo eccellente, ridisegnando quindi l’air intake system e tutto il vano motore e investendo ancora risorse sulla progettazione delle sospensioni. Nandan ha ammesso in Sardegna di puntare nel 2016 al titolo, anche grazie all’esperienza portata dai nuovi “acquisti” nel comparto tecnico: non si può essere solo competitivi sui fondi scivolosi e ripiombare nella mediocrità nei percorsi veloci. E non si possono subire nemmeno cedimenti di componenti elementari, condizione essenziale, sufficiente e necessaria per poter almeno vantare la più piccola velleità di successo.

Resta il fatto che nell’assetto “geopolitico” del WRC reali tensioni non ce ne sono. Né interne, né esterne, in qualunque modo si consideri il peso delle puntate al vetriolo di Ogier. Che, tutto sommato, se non prive di fini, certo lasciano il tempo che trovano.
Anche perché una pedina spostata, se non ha rivoltato l’equilibrio, lo ha almeno messo in discussione: da lepre Ogier è veramente diventato cacciatore. Di successo, non c’è dubbio.
E magari, un po’ maliziosamente e beffardamente, ne approfitterà. Tirando altra acqua al suo mulino, non esitando nell’autocelebrarsi. Ma questa è storia nota, di tutti i campioni “cinici”. Intanto, un altro pilota si è sbloccato –perché era dal 2011 che non arrivavano risultati di rilievo- mostrando prestazioni di spicco. Più che un fuoco di paglia è stato un colpo di mano, ben assestato e preciso. Ogier non va “attaccato” frontalmente ma aggirato, sfruttando quelle che sono le pieghe del regolamento. Vestire i panni di chi insegue, benché non sia un mestiere nuovo per Ogier, rende sempre tutto più difficile. Nonostante la proverbiale costanza, il cammino non è più così facile e a palesarlo ci sono tutti gli eventi del 2015 contesi fino agli ultimi attimi, con un trend non sempre così favorevole al francese. E bisognerà lavorare sempre più di lima…

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